Il giorno dei giorni, fino a quel giorno voi non svegliateci – Ligabue Campovolo

La musica prorompente di questo primo pezzo si riversa senza troppa accortezza sul Campovolo, investendo e sommergendo tutto e tutti, fino a sentirsi scuotere le casse toraciche. Ha iniziato bene, ma non come sempre: c'è un pizzico di timore nei suoi occhi e in quello che fa, ma questo era da mettere in conto, perché questa sera non è come sempre e non sarà mai più così.

Il primo brano in scaletta è già depennato, il ghiaccio non ancora rotto del tutto. Il Liga allora prova a scrollarsi di dosso quei pochi rimasugli di emozione, si avvicina al microfono e con tono disinvolto: “Ma allora non era una balla! Allora ci siete davvero!!” e quel Mar Rosso lì davanti a lui – che, se solo glielo chiedesse, si aprirebbe in due in men che non si dica – gli risponde con un'unica grande voce di sì. Poi continua: “Ebbene, vi do una comunicazione di servizio: ci siamo anche noi!” e attacca co
n I ragazzi sono in giro, un pezzo rock come è un po' che non ne fa. Del ghiaccio, ora, non c'è più traccia.

Senza alcuna soluzione di continuità, cambia chitarra ed ecco Hai un momento Dio, la prima vera gemma della nottata: mentre canta “Almeno dì se il viaggio è unico e se c’è il sole di là…”, abbozza un mezzo sorriso che ha qualcosa di amaro, porta gli occhi all'insù e col dito punta verso il cielo, come se Dio fosse lì a sentire ciò che ha da dire: “…se stai ridendo, io non mi offendo… però, perché?”.

Sul palco “Main” arriveranno uno dietro l'altro, senza neanche un minuto di pausa, 8 brani tutti riarrangiati splendidamente. Da Il giorno dei giorni a Balliamo sul mondo, passando per Vivo o morto o x e per L'odore del sesso, forse la sorpresa più bella ed emozionante di questa prima tranche: Ligabue la ripropone in una versione incredibilmente particolare, quasi solo voce e chitarra, con cui tira fuori tutta la fragilità di quelle parole, fragilità che invece l'arrangiamento originale riesce a mascherare fin troppo bene.

Ora che sembra davvero rodato, lo show entra nel vivo. Ligabue lascia la chitarra che gli è servita per l'ultimo pezzo e comincia a correre: percorre a velocità spedita la passerella alla sinistra del “Main”, quella che conduce al palchetto “Solo”. La distanza non è breve e lui sembra un galeotto che tenta di evadere dalla sua prigione inseguito dal cono di luce dell'occhio di bue, che non lo molla per nessun motivo.

I 95 metri di passerella sono finiti. Il Liga sembra averli retti abbastanza bene, almeno finora. Temporeggia una manciata di secondi, soprattutto per dare tempo ai polmoni di rimettersi in piedi, poi imbraccia l'ennesima chitarra e si avvicina al microfono: “Beh… Ora siamo qui… Eh sì…” e attacca col primo verso di Sogni di Rock & Roll che inizia proprio con “Siamo qui…”.

Si tratterrà su quel palchetto lungo soltanto 12 metri per neanche 20 minuti, ma lì regalerà al suo pubblico alcuni momenti che sarà difficile dimenticare: le sue canzoni e la sua chitarra, non è servito altro.
Dopo Sogni di Rock & Roll è arrivato il turno di Non è tempo per noi, dopodiché il Liga fa una raccomandazione: chiede ai presenti di fare un po' di silenzio per la prossima canzone, che nessuno di loro la conosce, perché fa parte del nuovo album. La vorrebbe spedire, “per direttissima”, alla città di New Orleans che mai come in quel momento ne ha avuto bisogno.
Il Campovolo ascolta in silenzio le parole di Sono qui per l'amore: con questo testo forse Ligabue riesce ad arrivare lì dove con nessun altro brano del nuovo cd, Nome e cognome, uscito il 16 settembre, non riesce a spingersi.

Ha appena iniziato a cantare ma, alle orecchie di quelli che sono nelle vicinanze del palco “Solo”, non arrivano solamente la sua voce e il suono della sua chitarra, arriva anche qualcos'altro: valanghe di fischi e schiamazzi, provenienti circa 800 metri più in là, verso il palco “Vintage”.

La prima frase sui volantini distribuiti al casello di Reggio Emilia doveva pur significare qualcosa: “Quello che stiamo facendo insieme a voi è un concerto 'tecnicamente sperimentale'…”, e ora il significato è svelato.
Il volantino continua e spiega: “L'esperimento è quello di suonare su più palchi permettendo a tutti (e siete tanti e per questo vi ringraziamo) di vivere il concerto non solo davanti a Luciano ma 'circondati' da lui”. Chissà cosa ha pensato tutta quella fetta di persone che, per loro colpa o sfortuna, è capitata proprio nella metà sbagliata del Campovolo, quella dominata dal palco “Vintage”…

Come tante altre cose nella vita – sicuramente più importanti di un concerto – anche l'evento del Campovolo assomiglia tanto ad una moneta: due sono le facce, c'è una testa e una croce a seconda di dove si è trovato posto e, a chi è capitata la croce, è andata semplicemente male.

Due facce avranno anche le recensioni del giorno dopo: la testa da una parte, rappresentata dai critici dei maggiori quotidiani nazionali che hanno raccontato l'evento in maniera entusiastica, considerandolo un successo da ogni punto di vista; la croce dall'altra, rappresentata dagli innumerevoli blog e forum ufficiosi o ufficiali in giro per internet, che hanno praticamente demolito a 'picconate' l'immagine abbacinante che la gente comune aveva del 10 settembre a Campovolo. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo.

Molte, moltissime, sono state le lamentele di quelli che non sono riusciti proprio a godersi un concerto come si deve, come avrebbe dovuto essere per tutti i 180mila presenti (e paganti) e che invece è stato solo per la metà più fortunata.

Comunque Luciano fa come si conviene in questi casi: tira dritto facendo finta che tutto vada per il meglio.

Il dono dell'ubiquità ancora gli manca e, per dargli modo di salire in macchina e raggiungere il 'luogo del misfatto' agli antipodi del Campovolo, gli serve un “diversivo”: un coro gregoriano dal palco “Teatro” distrae la folla esibendosi in un ampio intro al prossimo pezzo che il rocker emiliano depennerà dal suo personale taccuino: Libera nos a malo.

Il palco “Vintage” è la macchina del tempo di Luciano Ligabue, il suo vecchio e polveroso album dei ricordi. Le lancette tornano indietro di parecchio tempo, fino ai primi anni '90, e con esse tutto il resto: l'impianto luci e le altre apparecchiature; la sua stessa band: a suonare con lui non è quella attuale ma i ClanDestino, che lo hanno affiancato sul palco e in studio nella prima parte della sua carriera; ed è invecchiato (o, se preferite, ringiovanito) anche il suono della sua musica, di ben 15 anni. Inutile dire che anche le canzoni scelte per questa parte dello show sono all'insegna del revival: dal palco “Vintage”, arrivano uno dopo l'altro pezzi indimenticabili per i più affezionati, come Bambolina e Barracuda, Lambrusco e pop corn, la bellissima Ho messo via e, come in tutti i suoi concerti che prevedono questo pezzo in scaletta, non manca il simpatico siparietto nel bel mezzo di Bar Mario, a cui partecipa anche Claudio Maioli nel ruolo di Mario: porta a Luciano una tazzina di caffè, poi imbraccia una ramazza come fosse una chitarra elettrica e si lancia in un assolo da fare invidia a Jimi Hendrix, poi se ne va via senza dire una parola, non prima di aver provato a fracassare per terra la sua “chitarra” ed essersi assicurato che tutti abbiano letto il messaggio scritto dietro la maglietta: “Many Thanks!”.

Mentre il Liga rimette in moto la sua macchina del tempo e fa ritorno al 10 settembre del presente, ad aspettarlo sul palco “Teatro” c'è Mauro Pagani, suo grande amico e fedele compagno durante il tour nei teatri di mezza Italia. Pagani è uno spettacolo nello spettacolo: un grande musicista, di quelli che o non ci sono più o hanno capelli bianchi e sguardo benevolo. Seduti uno accanto all'altro, si esibiscono con 4 tra le canzoni più belle, per intensità e trasporto, mai scritte dal cantante di Correggio: Una vita da mediano, Piccola stella senza cielo e Il giorno di dolo
re che uno ha a cui fa una particolare premessa, ricordando alcune persone molto importanti della sua vita che non ci sono più, tra cui D-Rad “che avrebbe dovuto essere proprio qui su questo palco adesso” e suo cugino G. “che sarebbe comunque stato contento” – per cui ha anche scritto Lettera a G, uno dei brani di Nome e cognome – e conclude chiedendo ai presenti di fargli un po' di spazio lì nel mezzo, così anche loro potranno ascoltare la canzone. La parentesi “Teatro” si chiude con Questa è la mia vita, alla quale partecipa anche l'attuale band, che si trova sul palco “Main”, e con cui ha aperto il megaconcerto.

Mentre Pagani si lancia in un grandissimo assolo col suo violino a conclusione della parte più riuscita dello show, il povero Liga si rimette in corsa: ci sono altri 95 metri di passerella da percorrere per tornare finalmente sul “Main” e chiudere così il suo stratosferico “abbraccio” al pubblico.Come è successo dopo la sua prima passerella, anche in questo caso si prende qualche secondo per gli sventurati polmoni, poi imbraccia nuovamente un'altra chitarra e introduce il terzo e ultimo brano del nuovo album che ha deciso di presentare questa sera, si chiama Happy Hour e il pubblico sembra gradire: lo stile è nella migliore tradizione rock del cantante emiliano, ricorda molto le sonorità del disco precedente, Fuori come va?, già vecchio di 3 anni.
Con questa canzone Ligabue dà il via alla parte conclusiva del concerto, caratterizzata da una grande impennata ritmica ed emotiva allo stesso tempo. Il rock di Luciano Ligabue ora, tra pezzi recenti e vecchie glorie del suo repertorio, serpeggia liberamente nelle vene dei 180mila, che urlano e maltrattano la terra sotto i loro piedi come mai hanno fatto da quando il loro ammaliatore è salito sul palco: tra Tutti vogliono viaggiare in prima, Balliamo sul mondo e Tra palco e realtà, c'è anche il tempo di lasciare tutti letteralmente a bocca aperta con i fuochi d'artificio, che partono all'improvviso da dietro il “Main” e illuminano il cielo, gli sguardi estasiati e i sorrisi scintillanti.

Il bis di sicuro non può mancare e, dopo la classica uscita 'farlocca' dalla scena, Luciano e la sua band ritornano sul palco nel delirio collettivo. Del resto non poteva essere diversamente, all'appello mancano ancora una manciata di canzoni: quelle che arrivano sempre in ritardo ad appuntamenti come questo, ma che comunque, chi è già lì da un po', sa che deve aspettare.Una triade di grande, grandissimo, effetto: Ho perso le parole, Certe notti e, infine, Urlando contro il cielo, che viene eseguita dal palco “Main”, dove c'è Ligabue con la sua attuale band, e anche dal “Vintage”, dove c'è il passato con la sua vecchia band.

Urlando contro il cielo non muore mai, c'è sempre, trascende spazio e tempo: per tutto il giorno, da quando i cancelli sono stati aperti a quando il Campovolo pian piano si “sgonfiava” dei 180mila a notte fonda, tutti l'hanno reclamata a gran voce, più e più volte, con il classico coro che la contraddistingue.

A questo punto, quando oramai l'apoteosi sembra aver trovato il suo compimento, tutti sono convinti (e un po' amareggiati) che sul taccuino di Luciano non rimanga più nessuna voce da depennare. La scaletta sembra esaurita, il “giorno dei giorni” giunto al termine.Ma questo è un concerto del tutto fuori dal comune. Un concerto che, appena è nato col primo accordo, proprio lì ha iniziato a morire e non avrà alcun modo di resuscitare. Al massimo potrà essere solo amorevolmente ricordato, e proprio per questo non può finire qui.

Luciano vuole regalare a tutti, anche a se stesso, il gran finale e non bada a spese: un secondo bis, proprio quando nessuno se lo aspettava. Come se fosse partita una nuova raffica di fuochi d'artificio, ogni sguardo e ogni sorriso si riempiono nuovamente di stupore misto all'entusiasmo: il Liga ritorna di nuovo sul “Main” e, probabilmente per benevolenza nei confronti dei polmoni, questa volta passeggia lungo la passerella che porta al “Solo”.Arrivato lì, senza dire nulla di che, imbraccia l'ultima chitarra della serata e comincia ad accarezzarne le corde. La melodia che si svela poco a poco la riconoscono tutti e tutti quanti hanno sempre pensato che il concerto perfetto, quello da sogno, del loro cantante preferito, avrebbe dovuto chiudersi proprio con questa meravigliosa canzone, Leggero, eseguita solo voce e chitarra. Definirla la “ciliegina sulla torta” sarebbe veramente troppo banale e riduttivo. Leggero è il migliore onanismo spirituale per chiunque apprezzi veramente la musica di Luciano Ligabue: fra quelle note e quelle parole c'è condensato un po' tutto di lui e delle sue canzoni.

Quando Leggero è finita, il cantante tira una linea anche sull'ultima voce presente nel suo taccuino. Ora la scaletta è esaurita e il “giorno dei giorni” del Campovolo sta volgendo rapidamente al termine.
Non gli resta che andarsi a prendere l'affetto e gli applausi dei suoi devoti. Solo il suo volto può dire quanto sia realmente contento in questo momento Luciano Ligabue. Prima di andare dice un'ultima cosa: “Durante il pomeriggio la gente del mio staff, i tecnici, i giornalisti hanno detto tutti la stessa cosa: i ragazzi del pubblico sono meravigliosi. Beh fatevelo dire da qui: siete veramente stupendi. Grazie, ciao a tutti”. Un ultimo saluto con la mano al suo pubblico che è lì ad acclamarlo e poi di corsa nel backstage, dove gli danno una spiacevole notizia: qualcuno gli ha svaligiato casa, a pochi km da lì, mentre lui cantava sui 4 palchi. In giro per internet ci hanno fatto un po' di ironia su dicendo che, in realtà, i ladri venivano proprio dal Campovolo, precisamente dal palco “Vintage”: un paio di fans imbestialiti gridavano vendetta la pessima acustica che hanno dovuto sorbirsi per buona parte del concerto.

Pochi giorni dopo il grande evento, perché comunque così si deve definire ciò che Luciano Ligabue è riuscito a fare quella sera, sul suo sito ufficiale viene pubblicata una lettera firmata da lui stesso: “venire a sapere che una parte di voi possa non avere goduto del concerto per come l’avevamo pensato e studiato e organizzato è il vero furto che mi è stato fatto. Volevo che tutti poteste sentire quello che io rovesciavo sui vari palchi. Chiedo scusa personalmente a quelli di voi che non hanno potuto sentire come si doveva.”

Questo è stato lo scotto che anche Luciano Ligabue ha dovuto pagare per avere osato laddove nessuno aveva mai osato. Proporre qualcosa di mai visto e giocarselo in un'unica serata, è un po' come puntare sullo 0 alla roulette tutto quello che si ha in tasca: i rischi sono molti e molto alti.Ma sarebbe un grande errore imputare tutto questo al cantante di Correggio e allo show che ha saputo offrire alla platea: un concerto artisticamente stupendo, che ha celebrato degnamente 15 anni di onorata e gloriosa carriera di uno dei talenti migliori e più rari che la musica italiana contemporanea ci abbia mai regalato.

Sicuramente Luciano Ligabue non è quello che smanetta gli impianti durante i suoi concerti, il suo compito è un altro: è quello di essere su un palco, “Main”, “Solo”, “Vintage”, “Teatro” o qualsiasi altro non ha alcuna importanza. Solo lui e le sue canzoni fra i denti, non serve proprio altro.

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