I classici – Pixies – Doolittle

Quelli di voi che hanno visto il film dei fratelli Coen 'Il grande Lebowski' ricorderanno il veterano che introduce il personaggio di Jeff Bridges – Drugo – con quella frase immortale: “a volte c'è un uomo, non dirò un eroe, perché in fin dei conti cos'è un eroe?, ma un uomo ed egli è l'uomo giusto nel luogo giusto e al momento giusto, lui è quello che ci vuole”. Beh, potete senz'altro applicare la stessa definizione ai Pixies, ho detto tutto. Se si vanno a controllare i nomi più spesso citati come influenze-chiave del rock più 'alternativo', i Pixies risulteranno i più gettonati; per fare un esempio, Kurt Cobain (prima di inciampare su di un arcobaleno e andare al Creatore) confessò: “Stavo solo cercando di scimmiottare malamente i Pixies” – e io aggiungo: se devi scimmiottare, paga sempre scimmiottare i migliori.

Tutti hanno un gruppo o un cantante cui riservare un posto speciale nella propria hit-parade, magari perché lo si associa ad un evento particolare o un concerto al quale era essenziale partecipare. Questi artisti non sono necessariamente bravi o competenti, ma è per questo che hanno inventato i tre per due al supermercato, no?? Ci sono poi quegli artisti che hanno cambiato il mondo, tipo Elvis, i Sex Pistols e i Public Enemy. Ed in tale lista trovano posto i Pixies. I Pixies hanno preso il rock tradizionale e lo hanno infuso con un concentrato di energia, lasciando allo stesso tempo il loro pubblico in grado di usare la propria intelligenza. Non dimentichiamoci che tutto ciò accadeva mentre Van Halen zompava sul palco e Rick Astley era in cima alle classifiche. Tempi duri, amici miei, ma noi siamo riusciti a sopravvivere grazie a Black Francis, Joey Santiago, Kim Deal e David Lovering.

Pur se tutti gli album dei Pixies sono di qualità superiore, il mio preferito resta Doolittle, che ha fatto la sua uscita nel 1989, per 4AD records. Dopo il promettente Surfer Rosa, il secondo album, sempre una sfida per qualunque band, è risultato essere quel che definirei un vero classico. Si comincia con un ipnotico Debaser, con la sua introduzione caratterizzata da basso, batteria ritmata e chitarra distorta, e i versi ispirati da una scena dal film 'Un Chien Andalou', di Luis Bunuel: “…got me a movie, I want you to know, slicing up eyeballs, I want you to know…”. E poi dritti a Tame, con una batteria bella aggressiva e il fantastico basso di Kim Deal che accompagnano quei versi sempre più surreali. Senza neanche riprendere fiato, eccoci in tutta fretta a Wave of Mutilation, con Francis che passeggia sulla battigia in mezzo ai crostacei, mentre il resto del gruppo si concentra quanto più possibile a produrre una vera e propria tempesta di suoni.

Dopo un inizio tanto roboante, I bleed vi dà la possibilità di riprendere finalmente fiato, mentre la canzone prepara il suo crescendo con il titolo ripetuto all'infinito su di una musica un po' sinistra e sicuramente rumorosa. Here comes your man rappresenta forse una delle canzoni dei Pixies più accessibili, e non si può evitare di notare il basso iniziale e innamorarcisi immediatamente. Sicuramente Francis si è dato una calmata dopo il boost di energia dei primi titoli, ma c'è comunque quella fantastica percussione ritmica e il aaaaah-oooo, l'ululato inconfondibile!!

Si torna al menu principale, con Dead. L'introduzione ha la sua bella chitarra distorta, le parole “what do you think of nothing” ed è subito rock! E' difficile convincersi che il suono provvenga da una chitarra elettrica, eppure…! This monkey's gone to heaven è un pezzo relativamente languido in confronto a quelli che lo precedono, ma contiene il verso immortale: “if man is 5 then the devil is 6 and if devil is 6 then God is 7”, reso talmente bene che nessuno dovrebbe pensarci due volte quando è il momento di giocare i numeri del lotto!

Dei suoni quasi 'near-dub' danno il la a Mr Grieves, con Francis che pare un po' più maniacale del solito, per poi procedere per il resto della canzone quasi in stilee psichobilly, ma in maniera piacevole. Ed ora che ci siamo fatti la bocca per la velocità, eccoci al massimo con Crackity Jones, il vero apri-pista che manda tutti in visibilio (decisamente non un pezzo da ascoltare mentre si guida imbottigliati nel traffico metropolitano). Una bella batteria apre il fantastico La La Love you, che non è proprio il massimo dal punto di vista del testo, ma contiene fischiettamenti pregiati. Ma questo è inevitabile quando si dà al batterista il permesso di cantare: in America non hanno sentito parlare della maledizione 'Genesis'?

Francis torna a cantare per il pezzo n. 13 Baby, dove la sua preferenza per gli occhi scuri si fà sentire, e così pure un pezzo magistrale di chitarra suonato da Joey Santiago. Finita questa, si passa a There goes my gun, con un altro super-basso di Kim Deal. Un'altra opportunità per rallentare la corsa arriva con Hey, accompagnata anche questa da un basso scoppiettante sin dalle prime note, e alla fine siamo tutti d'accordo che “we're chained”. In Silver, Kim Deal si dà alla chitarra slide e bisogna ammettere che questo pezzo vagamente funereo è un po' una lagna. Ma il finale certamente vale la pena dell'attesa: Gouge away contiene alcune di quelle liriche suggestive prodotte da Black Francis con alacrità nel suo periodo sereno, tipo “chained to the pillars, a 3 day party, I break the walls, and kill us all, with holy fingers”. E tutto ciò ovviamente cantato con quell'urlo maniacale che completa il senso dei versi in maniera piuttosto bizzarra.

E così finisce uno degli album migliori di tutti i tempi. Se non l'avete già nella vostra collezione, vi esorterei a correggere questa vostra colpa immediatamente, così che, come dice il veterano de 'Il grande Lebowski', potete morire con un sorriso sulle labbra senza sentirvi come se il Signore vi abbia preso in giro.