Cosa Nostra – ridefinire la mafia.

Cosa pensa delle rappresentazioni della mafia nell'immaginario popolare, nei film e nelal letteratura per esempio? Sono così lontani dalla realtà tali ritratti? Inoltre, fino a che punto, secondo lei, la mafia come organizzazione è conscia o si fà influenzare da queste rappresentazioni? Per dirla in altro modo: la mafia moderna cerca invano di fare onore agli sterotipi presentati in pellicole cinematografiche come Il Padrino?

Credo che l'autore della recensione che faceva riferimento al concetto di 'ridefinizione' avesse in mente il mio tentativo di prendere sul serio la mafia. E questo è il motivo principale del mio interesse per questo argomento. Quallo che la maggior parte delle persone conoscono a proposito di mafia deriva dall'industria cinematografica statunitense. Tutto il genere che ha a che fare con le bande criminali americane – i libri e i film che derivano da Il Padrino di Mario Puzo – non ha in realtà nulla a che fare con la mafia. Hollywood ha usato la mafia per parlare del significato di essere uomo, della difficoltà di bilanciare le responsabilità lavorative e famigliari, del lato oscuro del sogno americano, o persino semplicemente per spacciare al mondo l'immagine fascinosa di tipi laconici vestiti in eleganti doppiopetti. E in tutto questo, si è un po' persa di vista l'affascinante, tragica, scandalosa storia di quello che il crimine organizzato ha combinato in Sicilia. E' difficile immaginare Al Pacino nei panni di Giovanni Brusca, che dissolse in acido un ragazzino di 12 anni perchè il padre aveva tradito Cosa nostra.

La mafia in sicilia è da s
empre conscia delle proprie rappresentazioni e i mafiosi sono direttamente responsabili per alcune delle mistificazioni diffuse, come la sciocchezza per cui la mafia abbia origini arabe. Eppure anche i media hanno a loro volta influenzato la visione che la mafia ha di sé. Si ripete spesso, anche durante i riti mafiosi iniziatori, che la mafia sia nata sottoforma di una setta medievale detta dei Beati Paoli che difendeva i deboli dai potenti e privi di scrupoli. Questa idea probabilmente nacque ai tempi della pubblicazione a Palermo di un borioso romanzo sui Beati Paoli, all'inizio del ventesimo secolo. In altre parole, la storia piacque a qualche mafioso della prima ora, che la presero a prestito per i propri scopi; i criminali che seguirono semplicemente si convinsero di quello che era stato diffuso come auto-propaganda dall'associazione stessa.

Lei sottoscrive un interessante punto di vista dello studio pubblicato 1877 La sicilia nel 1876, Condizioni politiche e amministrative da Franchetti , e cioè che le associazioni di stampo mafioso sono essenzialmente associazioni imprenditoriali che si specializzano nel commercio della violenza. E per di più, che sia stata l'assenza di un monopolio sulla violenza da parte dello Stato a renderle sempre più potenti. Nella transizione da feudalesimo a capitalismo, quale aspetto particolare della Sicilia ha creato le condizioni per l'affermarsi della mafia?

Oltre al capitalismo e alla debolezza dello Stato, ci sono altri due fattori che hanno creato la mafia. Il primo è la forte tradizione di cospirazione politica. A differenza di alcuni membri dei gruppi terroristici nordirlandesi Repubblicani e Lealisti che sono anche dei gangster, molti dei primi mafiosi erano sia dei criminali che dei cospiratori patriottici, o per lo meno si muovevano in quell'ambiente. Il secondo ingrediente è rappresentato dai limoni, come descrivo nel leibro. In altre parole, una coltura di valore e molto vulnerabile che portò la Sicilia a far parte del mondo economico internazionale.

Per molti, almeno per i media, la vera svolta nella lotta contro la mafia fu la trasformazione di Tommaso Buscetta in collaboratore di giustizia [Buscetta, una figura di spicco di Cosa nostra, fornì a Falcone una testimonianza che giocò un ruolo fondamentale ai maxi processi tenutisi in Sicilia negli anno '80]. In realtà, come documentato nel suo libro, simili tentativi furono fatti in numerose occasioni, legalmente e politicamente, al fine di combattere la mafia. Cosa ci fu quindi di diverso nel caso di Buscetta? Era veramente un caso unico come ci è dato da credere?

Nel mio libro racconto la storia di Francesco Siino, capo supremo dell'area palermitana negli anni 1890, che si consegnò alla polizia quando si ritrovò sconfitto dopo una guerra intestina. (è significativo il fatto che, a quanto pare, fu la moglie a convincerlo a parlare.) Ma in tribunale, quando ci si rese conto che il caso, in parte basato sulle sue confessioni, non stava in piedi, Siino ritrattò. Da sempre i mafiosi, in genere se sconfitti, collaborano con la giustizia. La differenza con il caso Buscetta è semplicemtne che lui fu il primo pentito ad essere creduto. E gli si credette perchè c'era un magistrato, Giovanni Falcone, dotato del coraggio, della passione e dell'intelligenza necessari per prendere la sua testimonianza sul serio. E grazie a Falcone, Buscetta scese nei particolari più di ogni altro [pentito] a proposito di Cosa nostra e del significato di 'uomo d'onore'.

La testimonianza di Buscetta rappresentò un momento di costruzione della storia, in senso prettamente letterale. Fu il quadro della mafia siciliana che lui fornì in quanto complice dall'interno a portare gli storici italiani a rivedere le prove e a riscrivere completamente la storia della mafia. Nel mio libro ho raccolto proprio il lavoro di questi storici.

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