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Phil Murphy – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 La realizzazione di MirrorMask (Neil Gaiman/Dave McKean) https://www.threemonkeysonline.com/it/la-realizzazione-di-mirrormask-neil-gaimandave-mckean/ https://www.threemonkeysonline.com/it/la-realizzazione-di-mirrormask-neil-gaimandave-mckean/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/la-realizzazione-di-mirrormask-neil-gaimandave-mckean/ “E' un progetto originale e venne alla luce più o meno così”, attacca lo scrittore Neil Gaiman, rivolgendosi ad un pubblico di fans devoti, riunitisi a Bologna, desiderosi di sapere di questa sua nuova collaborazione per il film MirrorMask. “Nell'estate del 2001 ricevetti una telefonata da Lisa Henson, la figlia di Jim Henson, che mi […]

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“E' un progetto originale e venne alla luce più o meno così”, attacca lo scrittore Neil Gaiman, rivolgendosi ad un pubblico di fans devoti, riunitisi a Bologna, desiderosi di sapere di questa sua nuova collaborazione per il film MirrorMask. “Nell'estate del 2001 ricevetti una telefonata da Lisa Henson, la figlia di Jim Henson, che mi disse 'saresti interessato a scrivere, insieme a Dave McKean alla regia, un film fantasy per famiglie, nella tradizione di Labyrinth?'.” Il pubblico è rapito, pende dalle sue labbra.

“Lisa disse che per la realizzazione Labyrinth e The Dark Crystal, i film fantasy per famiglie realizzati da Henson negli anni '80, furono spesi circa 40 milioni di dollari, ma che ora non avevano quei soldi a disposizione e lei stessa si chiedeva se si sarebbe riusciti a produrne uno con 4 milioni di dollari” continua lo scrittore inglese, impassibile. “Lei mi disse che non si poteva permettere di pagarmi quella cifra se avessi accettato di scrivere il film, così forse io avrei potuto ideare una storia e poi lei avrebbe trovato qualcun altro per la sceneggiatura. Io dissi che se il regista fosse stato Dave McKean avrei scritto la sceneggiatura e non avremmo più parlato di soldi. Dave accettò di dirigerlo e così cominciammo a scambiarci idee via email, su ciò che volevamo fare in un film per bambini. A Dave venne l'idea di una ragazza che andava verso una città con un mondo scuro e un mondo chiaro. Io ebbi l'idea di una ragazza che era come divisa a metà, due ragazze che si potevano scambiare a vicenda e poi”,conclude con una pausa drammatica, “Dave cominciò a lavorare e realizzò il film con quattro milioni di dollari”.

mirrormask - a film by dave mckean and neil gaiman

MirrorMask racconta la storia di Helena (Stephanie Leonidas), una ragazza di quindici anni che lavora nel circo di famiglia e che desidera scappare da lì per raggiungere la vita reale. Ma non è questo ciò che accadrà, perché Helena si troverà a fare uno strano viaggio nelle Terre Oscure, un paesaggio fantastico popolato da giganti, uccelli scimmia e pericolosissime sfingi. Durante la ricerca della strada per tornare a casa, Helena tenta di scovare MirrorMask, un oggetto dai poteri straordinari, la sua unica speranza di fuggire dalle Terre Oscure.

Apparentemente, MirrorMask è un film per ragazzi. Ma solo apparentemente, perché è improbabile che una coppia come Gaiman e McKean, che ha già collaborato meravigliosamente a numerosi romanzi illustrati e progetti editoriali (compresa la premiata serie a fumetti di Sandman), realizzi qualcosa inquadrabile in una categoria. James Greenberg dell'Hollywood Reporter ha commentato che “se Il Mago di Oz fosse rinato nel ventunesimo secolo assomiglierebbe a MirrorMask”. Il confronto con Il Mago di Oz è interessante, perché MirrorMask racconta la storia di una ragazzina trasportata in uno strano mondo fantastico, pieno di possibilità, pericolo e mistero. “Credo che Alice e Dorothy siano due termini di paragone molto validi”, concorda Gaiman quando Three Monkeys suggerisce che ci sono dei parallelismi tra la protagonista del film, Helena, e le eroine di Alice nel Paese delle Meraviglie e de Il Mago di Oz. Cosa c'è di attraente e stimolante nell'assegnare il ruolo di personaggio centrale a una ragazza che sta per entrare in un mondo fantastico? “C'è un aspetto molto interessante in questo, e molto vicino al mondo delle giovani adolescenti, ovvero il passaggio dall'essere ragazza all'essere donna. E' molto più difficile comprendere questa fase nei maschi perché è un processo molto più graduale. La cosa bella in una realizzazione come MirrorMask è che proprio questo è ciò di cui volevamo parlare. Questa trasformazione. Come smetti di essere una ragazza e diventi una giovane donna? Puoi impedire questo cambiamento? Che significato ha?”.

Il film è una gioia visiva, con l'intrusione di vari motivi, familiari tanto ai fan di Gaiman che di McKean. “Gatti con facce umane sono stati personaggi delle opere di Dave McKean per più di quindici anni”, sottolinea Gaiman mentre ci mostra un trailer del film per la stampa, con uno di quei gatti. “Le maschere sono un'altra ossessione di McKean. Alcuni dei temi diversi, che appaiono inaspettatamente, sono invece opera mia. Infatti, durante le riprese del film Dave ed io discutevamo su che uso fare del tema del sogno perché la gente mi conosceva per Sandman, e questa fu una delle ragioni per la quale finimmo col fare dei giochi molto strani intorno alla natura dei sogni nel film”.

Ma torniamo agli aspetti tecnici della pellicola. Gli straordinari effetti speciali del film potrebbero far credere che il budget di partenza fosse molto alto. Non è così, come ha già spiegato Gaiman. Ma allora, come siete riusciti a realizzare un film da 40 milioni di dollari spendendone 'solo' 4? “Innanzitutto, si hanno a disposizione due settimane per le riprese live. Per filmare tutto quello che è ambientato nel 'nostro' mondo. Poi ti sposti in uno studio con uno schermo blu, dove tutti i muri sono dipinti di blu, e per sei settimane resti lì con gli attori che recitano davanti allo schermo blu. Poi, Dave McKean si chiude in una grande stanza con quindici giovani esperti di animazione che hanno appena terminato il college – non era nemmeno il loro primo film, era il loro primo lavoro. Hanno trascorso i 18 mesi successivi a fare il film. In seguito, a mano a mano che restavano senza soldi, lasciavano andare il primo tecnico dell'animazione, poi un altro, fino a rimanere solo in quattro a lavorare nella stanza. Poi ne restano due e alla fine c'è solo Dave McKean. Durante quei 18 mesi telefonavo a Dave e lui era convinto che ad un certo punto qualcosa di terribile sarebbe successo, che qualcosa sarebbe andato storto e che avrebbero chiuso la produzione del film il giorno seguente. Così, ogni volta che lo chiamavo gli chiedevo 'Ciao Dave, come va?', e lui emetteva il suono che Lurch fa nella Famiglia Addams, 'uuurgh'. In qualche modo siamo sopravvissuti e abbiamo finito il film”.

È proprio il caso di dire che questo film è un prodotto eccezionale che combina McKean, Gaimam, un budget ristretto (“perché l'economia è molto in basso nella lista delle priorità di George Bush, – scherza Gaiman, – quattro milioni di dollari erano due milioni e mezzo di sterline quando iniziammo e due milioni di sterline quando finimmo, così il 20% circa del nostro budget scomparve mentre stavamo realizzando il film”) e tecnologia. Ridurre il tutto a un mix ben riuscito di effetti speciali sarebbe un errore: “La cosa che mi rendeva più felice era guardare Dave che creava un mondo tutto suo”, continua Gaiman. “Lui fa così tanto con l'azione viva, reale, che con le produzioni animate. La sequenza iniziale è questo piccolo circo di famiglia come lo ha immaginato McKean. Non ho mai visto qualcosa di simile al di fuori del suo lavoro. E lui ha realizzato tutto questo praticamente senza soldi. Mentre lo scrivevo si faceva avanti l'idea che solo Dave
sapeva cosa avrebbe potuto realizzare con il suo budget e cosa no. Io non lo avrei capito, perché venivo dalla scuola di scrittura cinematografica dove, se stai facendo qualcosa di normale, è economico, e appena ti addentri nel campo degli effetti speciali diventa costoso. Dissi a Dave 'Giriamo una scena in un'aula scolastica' e lui rispose 'Costa troppo'. Perché? Beh, perché devi affittare un'aula, riunire i bambini, sorveglianti, l'insegnante, e un giorno di riprese e tutto il resto. Lui vide il mio viso rabbuiarsi e disse 'Ti dirò una cosa, tu puoi far collassare il mondo e trasformarlo in un fiore e non ti costerebbe niente!'”.

Il film fu una sfida tecnica per tutte le persone coinvolte. “Quando Dave terminò di girare davanti allo schermo blu, mostrò i provini al team dell'animazione e alla fine se ne andarono e si riunirono in privato. Dopo un po', uno di loro ritornò e chiese quante scene con effetti speciali ci fossero nel film e Dave rispose che ce n'era solo una, ma che durava ottanta minuti”.
McKean, parlando della realizzazione del film sembra un uomo che è passato attraverso l'occhio del ciclone ed è sopravvissuto. “Direi che ho imparato molto sulle mie forze e debolezze. Ho la tendenza ad innamorarmi della purezza della soluzione formale ad un problema, e poi divento cieco alle sue possibili imperfezioni, e ogni piccolo cambiamento mi fa sentire come se stessero diluendo, affogando, la mia idea. Credo che questo mi abbia causato molte difficoltà con il film, e penso che d'ora in avanti sarò consapevole di quella visione ristretta”. Probabilmente, senza quella visione ristretta, il film non si sarebbe fatto. O almeno, non nella forma in cui poi è emerso. “Abbiamo portato il film al Sundance Film Festival, dove sono stati molto felici di vedere che era un film indipendente, nonostante fosse finanziato dalla Sony, perché fondamentalmente era fatto da Dave”, racconta Gaiman, quasi a difendere l'intenso lavoro del regista. “Non c'era un comitato, niente riunioni intorno a un tavolo con gente che dice 'dovresti scegliere quello…' Non è mai accaduto. Non abbiamo mai avuto soldi per i provini. È davvero una produzione indipendente, quasi un film fatto a mano”.

Dopo aver lavorato così intensamente al film, così a lungo, si può perdonare a McKean di essere a pezzi. Forse lo è più che se avesse lavorato a un film 'normale', dove c'è un gran numero di collaboratori che lavorano alla produzione e alla post-produzione. McKean era conscio del lavoro quando ha iniziato, ma non era sicuro che sarebbe riuscito a portare a termine il film come lui stesso, Gaiman e i produttori avevano sperato. La reazione del pubblico è l'ultima rassicurazione, per qualsiasi regista. “Quando Dave sentì che i primi spettatori del film, un pubblico di quindicenni, – sorride Gaiman, – applaudivano e ridevano agli scherzi, entrò in sala. Di fronte a me, una ragazza si girò verso la sua amica e disse 'cioè, è stata la cosa più beeeeeeeeella che abbia mai visto in vita mia!'. A quel punto, Dave cominciò a sorridere [ride]”.

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Sin City, la serie di fumetti di Frank Miller, non è solamente il soggetto di un nuovo adattamento cinematografico hollywoodiano, per la regia di Robert Rodriguez (El Mariachi, Desperado, Dal tramonto all'alba e Spy Kids), ma anche l'oggetto di dibattiti accademici in varie università. E', sembrerebbe, un lavoro pionieristico nel campo della graphic novel, e come tale è diventato una lettura indispensabile presso quei corsi di studio che si occupano di esaminare questa modernissima forma di letteratura.

Ci si deve domandare perché. L'unica profondità o complessità mostrata, per lo meno in questa versione cinematografica (che rimane fedele ai testi originali – Miller ha infatti contribuito alla regia), è la rappresentazione visuale dei protagonisti. A parte le peculiari protesi utilizzate (Mickey Rourke è irriconoscibile a causa di un bulboso mento posticcio), i personaggi e la trama sullo schermo fanno di Dennis the menace [N.d.T.: fumetto creato da Hank Ketcham] un'opera di stampo shakespeariano.

Con questo non si vuol intedere che il film non sia spettacolare, tutt'altro. Rodriguez e Miller hanno creato un mondo cupo, tetro, noir veramente affascinante (“Pieno di suoni e rabbia, ma privo di significato”, la frecciatina del suddetto Dennis da dietro le quinte). Girato in un bianco e nero che tende al blu, con gli occasionali sprazzi di rosso (i copiosi spargimenti di sangue offrono svariate occasioni di utilizzo per quest'ultimo effetto), giallo e un bianco innaturalmente intenso.

Il film intreccia diversi episodi di Sin City, principalmente Sin City, Un’abbuffata di morte e Quel bastardo giallo. Ci sono tre protagonisti/eroi, ovvero Hartigan [Bruce Willis], Marv [il suddetto mentuto Mickey Rourke] e Dwight [Clive Owen], tutti emarginati piagnucolosi pronti a morire per difendere varie 'signore' (tutte, non c'è bisogno di sottolinearlo, donne che, quasi senza eccezione, possono vantare capigliature bionde e seni perfetti).

Ci sono altri elementi fondamentali dello stile noir, per esempio quel senso di sinistra manipolazione a apera di poteri occulti che si muovono dietro le quinte: politici, preti e poliziotti corrotti. Si tratta però di un genere ibrido, che mescola il fumetto comico d'azione con il noir. La collisione fra i due generi costituisce sia quell che rende il film vagamente guardabile, ma anche la sua condanna. Come evidenziato da John Patterson nella sua recensione, il noir è spesso allusivo, soprattutto a proposito della violenza. Il vero noir porta con sé un alone di mistero, cospirazione e pericolo incombente. L'enfasi nel nuovo genere creato da Miller non è sull'inafferabile senso di mistero, rimpiazzato dall'azione, e da quintali di questa. Dopotutto, graficamente, non è possible sbudellare una presenza indistinta che lavora dietro le quinte. Il risultato? Il dramma è sostituito dall'azione, la suspense da trucchetti per impressionare, il racconto da interminabili scene di violenza.

La pochezza delle idee esposte è ancor meglio dimostrata dal crudo intreccio delle singole storie. Un tempo questa era una tecnica originale e ispirata, e quando utilizzata da veri cantastorie (tipo Tarantino o Jarmusch), è in grado di aggiungere svariati strati narrativi ad un racconto. In Sin City, finisce per sembrare una forzatura, un qualcosa appiccicato per giustificare la messa insieme di deboli trame. I personaggi galleggiano fra una storia e l'altra senza aggiungere alcuna nuova prospettiva se non quella di gridare 'hey, guardatemi – io provvengo dall'altra storia – non è una furbata?'.
Il livello di violenza nel film sarà inevitabilmente oggetto di interminabili discussioni. Miller, a difesa della violenza sia del fumetto che della adattamento cinematografico, ha commentato: “Se si considera che la maggiorparte delle opere drammatiche dall'Iliade a ritroso sono tutte estremamente violente – perché è così che la gente tende a risolvere le questioni – è abbastanza ridicolo. Io non credo nella teoria dello spettacolo come ispiratore dei comportamenti”. Che qualcuno imiti l'iper-violenza del film è altrettanto improbabile quanto orde di scimmiottatori pedissequi in pigiama di licra che si buttano dal tetto dopo aver visto Superman. Per ribadire ciò che è ovvio: si tratta di volenza da fumetto. Corpi che svolazzano sullo schermo gettati con forza a seguire improbabili traiettorie dagli eroi della storia, i quali contemporaneamente vengono ripetutamente crivelalti di proiettili.

A mio parere, il problema non è la violenza del film, per quanto gratuita. O la discriminazione sessuale, per quanto possa risultare offensiva. A mio parere, lo scandalo sta nel fatto che gli autori del film ti illudono con l'idea che questo sia un genere nuovo, un territorio da esplorare. Il fatto è che, con tutto il suo stile 'visivo', la storia è fiacca e priva di ispirazione.

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