American Gothic – Josh Ritter porta il suo marchio nel folclore americano in Europa

Vestito con un completo classico, con scarpe da tennis, ed aria distratta, ma amabile, Josh Ritter è contento di essere in Italia. In effetti Ritter sembra contento e basta. E così deve essere, con i plausi della critica che elogiano la sua seconda uscita “Hello Starling”, e una serie di spettacoli europei in cui suona da supporto a Joan Baez, Counting Crows, e ultimamente, qui a Bologna, Damien Rice.

Josh è senza dubbio gentile ed attraente, al punto che si è persino preoccupati per lui in un mondo di lupi come quello dell’industria discografica. Più tardi, dopo l’intervista, quando entra in scena, le preoccupazioni svaniscono. Non perde la sua gentilezza e non perde occasione per ringraziare il pubblico e ripetere quanto sia contento di essere qui. Nel fare questo ha un calore complice e sicuro. Con mia sorpresa, sono rapito dalla sua performance dal vivo come la maggioranza della folla.

Ma, bando agli elogi e torniamo all’intervista.

Prima di tutto, raccontaci dei legami con Joan Baez; lei ha reinciso una delle tue canzoni, Wings, come è successo?

Beh, lei ascolta molta musica e sentì anche “Golden Age of Radio” [N.d.R.: Il primo album di Ritter] e mi domandò dei demo della roba su cui stavo lavorando per “Hello Starling” – io solo con un mini-desk, hai presente – e le piaque molto “Wings”, e mentre me ne tornavo nell'Idaho mi chiamò e mi chiese se volevo andare con lei in tournée.

E’ stata una persona che ha influenzato la tua musica?

Quando cominciai con la musica il suo nome saltava fuori ovunque, soprattutto come una che ha iniziato da sola e capisci…(pausa) non mi ha tanto influenzato come cantautore, ma come qualcuno che sceglie di vivere in un certo modo.

Soffermiamoci su quella canzone, “Wings”, sembra vi siano delle oscure risonanze. Cosa ti ha ispirato a scriverla?

C’è un posto chiamato Cataldo Mission, una missione gesuita, a 80 miglia a nord di dove vivo nell’Idaho, è in mezzo al niente, capisci, tra i boschi. Fu costruita nel 1860 da un italiano, credo di Genova, che finì nei boschi dell’Idaho per costruire la missione ed è una cosa che mi interessa molto: come è finito quello lassù? Andai là e mi guardai attorno. Sai, la storia del nord dell’Idaho è molto interessante, perché veramente non apparteneva a nessuno. Sino al 1860 c’erano russi, francesi, persone che venivano dalla costa est per evitare di essere coinvolte nella guerra civile, c’erano due o tre differenti tribù indiane, era un gran miscuglio in mezzo al niente. Giravo nella missione e vidi un ritratto di Maria col suo cuore esposto e trafitto, sai le sette pene di Maria. Fu come se il cuore… il cuore sembrava una mela e scrissi così il testo perché pensai fosse come un pezzo di frutta… ed il resto della canzone venne da lì, capisci?

Ma, sai, ho scritto quella canzone in modo differente dalle altre. L’ immagine era così forte che non volevo fosse l’unica immagine forte della canzone. Così iniziai a scrivere testi come mi venivano, sperando fossero immagini forti per la canzone e li scrissi in sei settimane circa. Non ci ho lavorato tutto il tempo, se qualcosa mi colpiva scrivevo; in fondo si parla di due persone che viaggiano a ovest da Cataldo attraverso in centro minerario dell’argento e Coeur d’Alene e Harrison. Le ferrovie si stanno costruendo mentre sono in viaggio verso l’oceano ma siccome viaggiano in quei tempi, le immagini divengono … come se stessero viaggiando verso il sempre più industrializzato est e i tempi corrono più veloci e gli impianti nucleari e tutte quelle robe della canzone.

Ferrovie e dinamite?

Esattamente! Beh, sai, c’è molto nella storia dell’ovest degli Stati Uniti della teoria del ‘Destino manifesto’ [N.d.R.:Espressione coniata dal giornalista J. O’Sallivan nel 1845 in occasione dell’annessione dello stato messicano del Texas agli Stati Uniti, in cui si teorizzava la manifesta predestinazione degli anglosassoni americani di governare sulle popolazioni incapaci di autogestirsi], una frase che venne alla luce quando l’ovest veniva sfruttato. Poiché la gente si trasferiva, nel bene e nel male, credevano che era diritto divino che gli Stati Uniti prendessero possesso delle zone e le sfruttassero. Penso fosse una religione interessante, era come una nuova setta di cristiani. Per un destino manifesto noi siamo qui e abbiamo le capacità e quindi abbiamo la benedizione divina.

E’ qualcosa che persiste nella cultura di laggiù?

Assolutamente. Senza dubbio.

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