American Gothic – Josh Ritter porta il suo marchio nel folclore americano in Europa

La letteratura ti influenza molto? I tuoi testi mi suggeriscono vi sia una influenza tanto forte quanto con la musica.

Sì beh, sai, i cantautori sono forti ma non ti portano lontano se ti affidi solo a loro.Mi piace Paul Auster. Sono un grande fan e ho letto molti libri sull’Impero Britannico, ho letto un sacco di Joseph Rudyard Kipling, che è veramente interessante. Sto leggendo molte biografie al momento, specialmente su John Adams e Thomas Jefferson, roba veramente interessante.

Come va nel Tour bus? Il resto del gruppo ti prende in giro?

Sì, veramente! Ma mi prende talmente tanto! Non puoi mai sapere da dove capitino le idee. Mi hanno sfottuto quanto hanno potuto con la biografia di Noel Webster, che è il tizio che ha scritto il primo dizionario americano, (con enfasi) è stupefacente e ti da molto a pensare; forse preso nella maniera guista, ci ricavo qualcosa di buono per una canzone. In altre parole, è bello sedersi e imparare qualcosa di cui tu non sai un bel nulla. Scrivere canzoni traendo spunto solo da altra musica. Sarebbe duro.

Forse, uno dei problemi per un cantautore con testi così ben fatti è la traduzione: come colgono le tue canzoni ascoltatori non madrelingua inglese, quando vi è una tale enfasi sul testo? Per esempio ci sono alcuni eccellenti cantautori italiani, importanti in Italia ma sconosciuti all’estero poiché i loro testi sono una parte importante. Tu come ci riesci?

E’ una cosa incredibile e rara per uno come me, venire qui e suonare per la gente ed essere ascoltato ed ho bisogno che questa gente capisca quanto eccitante sia per me e se la mia eccitazione affiora, sento che le parole non hanno importanza, voglio dire, mi sembra abbastanza universale che qualcuno sistemi una chitarra o qualsiasi cosa e, semplicemente, canti e speri che la gente apprezzi; e la gente risponde anche senza gli effetti luminosi, tecnici e attrezzature. C’è qualcosa che prende. Con i testi vi è sempre un pericolo potenziale e la gente risponde molto ai testi e io uso molte parole che amo. Uso parole desuete qualche volta e credo siano difficili; e penso siano difficili da tradurre al volo quando ascolti. Penso che siano importanti, ma allo stesso tempo è sbalorditivo come la gente risponda lo stesso. Penso sia così bello.

(N.d.R.: ed infatti quella sera, Ritter, come un posseduto, certamente riesce a comunicare la sua eccitazione tra gli spettatori italiani.]

Quali sono le differenze tra il tuo nuovo album “Hello Starling” ed il precedente “Golden age of radio”?

Con “Golden age” c’era più nervosismo. C’era più tensione sottocutanea e vera…Qual è la parola? Ambivalenza rispetto il viaggio, rispetto a quello che mi aspetta tra 5 anni, starò ancora a suonare come un pazzo per le strade o …Ero nervoso per tutto e nell'incisione penso si colga. Io riesco a riconoscere quanto ero intimorito di tutto.

Con “Hello Starling”, penso fossi meno concentrato sulla preoccupazione di come andavano le cose e più eccitato dall’idea di parlare, capirmi e capire perché facevo musica e perché andavo avanti così. Diventai più disinvolto.

Quando feci “Golden age” non mi ero mai esibito, mentre con “Hello Starling” mi esibii e imparai ad usare la voce un po’ meglio e con le canzoni… penso di aver dato più possibilità alle canzoni. Spinsi di più in alcune direzioni e penso ci siano un sacco di diversi sentimenti nell’incisione. Ho voluto perfezionare alcuni di questi sentimenti e tirarli fuori nel corso della registrazione, infine misi assieme le canzoni che credevo stessero meglio assieme . “Hello Starling” è pieno di serenate, di canzoni alla finestra. L’dea mi piace, perché tu sei lì fuor
i a cantare e talvolta, quando sei sul palco a cantare… vai fuori e spari il tuo pezzo migliore e la gente ti ascolta o no. Tutto sta nel cantare lì fuori. Penso che sia di questo che parla il disco.

Com’è stato lavorare con Dave Odlum come produttore? Lui ha prodotto un gran numero di grandi registrazioni ultimamente (Gemma Hayes, The Frames, Mic Christopher)

L’ho incontrato grazie ai Frames, era un incredibile chitarrista, amavo il modo in cui suonava, puramente emozionale. Capisci, trovare una prima chitarra che ascolta anche i testi è come trovare un elefante bianco! (ride). Ho sempre pensato che era grande il modo in cui lui abbinava le cose. Sapevo che faceva il produttore, ho sentito delle cose che faceva con le incisioni dei Frames. Amavo il modo in cui parlava con la band e me, suggerendo le cose.

Essere un buon produttore, più che conoscere come dirigere i rapporti di lavoro, vuol dire essere uno psicoterapista, conoscere… Hanno l’abilità di navigare tra le idee che hai e dirti qual è il modo migliore per farle funzionare e qual è quello sbagliato, senza intromettersi nell’intero processo creativo. Percorrono sentieri difficili. E Dave è incredibile, è così irlandese (ride), lui sa… ha la parola giusta per tutto. Così lavorare con lui è stato bellissimo perché sapevo che non c’era limite a quello che potevamo fare. Lui non intralciava, ma aiutava nella visione globale, il che era bene perché avevamo solo sette giorni per registrare e sette per mixare, andando avanti così avevamo una buona idea di quello che stavamo per fare, sebbene alcune cose rimanevano sospese e dovevamo fare delle scelte velocemente prima che finissero i soldi.

Le cose ti stanno andando bene, hai avuto la registrazione di Joan Baez, la tua canzone in “Six feet under”, tournée, e plausi della critica. I tentacoli dell’industria discografica ti stanno avvolgendo?

Voglio dire, sono fortunato in un certo senso, perché non scrivo canzoni che mirano ad essere le più vendute. Sento talora, vedi, persone che conosci, amici, i quali faticano con la pressione imposta dall’industria discografica; ed il fatto che sia così artificiale non la rende più facile da affrontare. Capisci, quando la gente comincia a parlare di mercato estero, mercato secondario e roba del genere, è ridicolo. Capisci, quando non hai il tempo di sederti tranquillo e scrivere… quello è il massimo. Quando scrivi una canzone e va bene, sai, non c’è cosa più emozionante, capisci!

Tra tutte le canzoni del nuovo album, forse non è sportivo chiederlo, qual è la tua preferita?

Bene… anche quando ho dovuto scegliere le canzoni di “Golden age” scelsi tra canzoni che si accostavano bene tra loro, e allo stesso modo in “Hello Starling” sento che le canzoni si accostano bene tra loro come capitoli di un libro. Tuttavia “Bone of Song” è quella che sento come pezzo centrale dell’opera. In termini di canzone è quella che non mi importa se viene suonata alla radio o se viene fuore che la gente dice, sai, “è un bel disco eccetto per quella canzone, deve aver fumato crack quando l’ha scritta!” (ride) … Per me è la canzone che vorrei i miei nipotini ascoltassero, perché è la canzone su cui si basa tutto.

Sai, scrivi una canzone e forse ti dimenticheranno. Quante persone possono dire che l’aria della “Bohéme” è di Puccini, ma sentono la pubblicità, è stupefacente il fatto che uno sia ancora lì! Puoi vivere una vita comoda e affascinante se sei bravo a muoverti nel mondo discografico, ma dura pochi anni, poi, quando te ne sarai andato, rimangono le canzoni ed è grande. E’ lo scopo finale. Erano le canzoni quando sei partito, prima di quando incominci a incidere ed essere pagato per spettacoli e tutto. Sono le canzoni che hai amato!


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