Alla ricerca dei Bookends – Intervista a Greg Dulli dei Twilight Singers

Dipanare il filo narrativo è qualcosa che viene naturale a Greg Dulli. Ammette, comunque, che ci sono differenze di metodo e di motivazione tra lo scrivere una canzone e lo scrivere una storia. Buona parte della musica degli Afghan Whigs e dei Twilight Singers è stata etichettata come dark, sia per i suoi temi che per le sue melodie. Questo significa che la musica proviene da uno stato d'animo cupo? O, in altri termini, puoi scrivere canzoni quando sei felice? “Ho scritto” risponde, poi fa una pausa per pensare, prima di continuare “forse un album quando ero felice, ed è stato l'ultimo con i Whigs [1965 – uscito nel 1998]. Probabilmente lì ci sono le canzoni più felici che abbia mai scritto e che scriverò. Probabilmente non dovrei dirlo, ma che diavolo! Quando sono felice non riesco a suonare; magari mi siedo e strimpello con qualcuno, ma quasi mai scrivo canzoni. E' un momento catartico”. Le storie brevi sono invece un'altra cosa: ”Posso tranquillamente scriverle quando sono felice, però non vengono mai fuori storie allegre, – sorride, – perciò non so cosa questo dica di me!”

E se il processo creativo necessario a scrivere canzoni differisce da quello necessario per scrivere storie, quale delle due cose da più soddisfazione? Possono essere paragonate? “Sono cose completamente diverse. La canzone, che unisce alla musica un qualcosa d'emozionale, è probabilmente quella che mi dà un po' più soddisfazione. Posso andare in giro di notte in macchina e ascoltarla. Ed esser fiero di me stesso [ride]“.

Ma esistono influenze? Josh Ritter, e i successivi intervistati di Three Monkeys Online hanno tutti sottolineato l'importanza delle figure letterarie per i loro lavori. E' così anche per Dulli? “Sono sicuramente stato influenzato dagli scrittori. I miei scrittori preferiti sono Byron e London, per l'uso semplice e lineare che fanno del linguaggio. Per la loro abilità di farmi sentire qualcosa che non sapevo neppure di provare. Penso che a entrambi riuscisse naturale trovare semplici verità, e riportarle eloquentemente su una pagina. Proprio come chi scrive canzoni, sicuro!…Tutti, da Robert Johnson a Bob Dylan, a Marvin Gaye…tutti, dal primo all'ultimo”.

Per qualcuno che ovviamente si dedica completamente ed esclusivamente al proprio lavoro (“Sono un editore molto esigente del mio materiale, perciò non importa quanto scriva, non farò mai un doppio album”) potrebbe apparire strano che abbia pubblicato così tante cover durante l'arco della sua carriera, la migliore espressione delle quali è il superbo album She Loves You dello scorso anno. In realtà, anche con questo sta raccontando una storia, anche se attraverso le canzoni di altri. &l
dquo;Ho disposto le canzoni in quel modo, in quell'ordine – dice a proposito della sua scelta di brani – per presentare una storia. C'era una storia in quelle canzoni, in quell'ordine, per me. Certo, non posso pretendere che chiunque abbia questa stessa sensazione ascoltandole, ma io ci vedo una storia e la sua conclusione”. Anche se è solitamente restio a dare a chi ascolta una direzione pre-determinata, Dulli ha voluto dire questo riguardo a She Loves You, sul suo sito Dulli's Inferno:” Lei ti ama significa che non ama me. E' una storia di desiderio struggente e di amore non corrisposto. Di un amore perso. Di un amore sprecato. Un amore di quelli da “è stato un incidente”…Volevo che le canzoni dessero lampi di speranza, che tenessero viva una luce e producessero conforto per un cuore solitario”.

She Loves You, parimenti ad altri cover albums di artisti come A Perfect Circle o Cat Power (che riceve particolari elogi da Dulli – “davvero fantastico!”-), dimostra come una cover può essere anche un esercizio di creatività, nonostante negli ultimi anni sia stata universalmente svalutata, ridotta allo stato di obbligo contrattuale o di un facile mezzo per lanciare le ultime patinate sensazioni pop. Dove si colloca un album di cover in una cultura che privilegia l'autenticità all'interpretazione? “Pensa all'interpretazione: senza interpretazione non avremmo Miles Davis, non avremmo Sam Cooke, non avremmo Patsy Cline, non avremmo Billy Holiday e nemmeno Duke Ellington, – dice animatamente.- Quindi se le persone continuano a riconoscere solo gli scrittori, peggio per loro. Il mio concetto di musica è un po' più tridimensionale.”

Il suo concetto di musica è tridimensionale ed eclettico. Brani in una vasta gamma di album, da A love supreme di John Coltrane, Strange Fruit di Lewis Allan, passando anche per Hyperballad di Bjork. Esiste una differenza di approccio tra il fare una cover di un brano come Strange Fruit, che è stata fatta tantissime volte da artisti diversi, e farne invece una di una canzone 'vergine' come Hyperballad che non è mai stata toccata da nessuno? “Bè, per esempio di Black is the colour, – risponde scegliendo il penultimo brano dell'album, – la versione che conosco a memoria è quella di Nina Simone. D'altra parte, la versione di Patty Waters è davvero terrificante. Il pathos della sua versione ha decisamente influenzato il modo in cui ho interpretato la canzone, ma alla fine ci sono io e lo strumento con cui la tiro su, qualsiasi esso sia. E' questo che decide come sarà la canzone. Non posso star lì a preoccuparmi di quello che c'è stato prima di me, posso solo prenderne atto e fare la mia personale versione.”

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