Al limite del surreale: L'amore ai tempi della Bossi-Fini, un – ahimè – realissimo spaccato di vita nella 'nuova' Italia. Intervista all'autrice, Cristina Artoni.

Arriviamo così a parlare della legge sull'immigrazione vera e propria, la 'famigerata' Bossi-Fini del 2002. “Questa legge è un po' l'espressione della forma di razzismo che esiste in Italia,” dice Cristina. “Credo che non ci sia nulla di peggio che creare una legge della nostra Repubblica che esprime di fatto questo razzismo, perché creiamo una sorta di burocrazia, un labirinto in cui le persone necessariamente il più delle volte si perdono. E l'abbiamo fatto esplicitamente proprio per questo, è chiaro, e addirittura rischiamo di essere copiati da altri paesi europei.” Le chiedo quali siano a suo parere i punti più crudeli della legge, quelli che dovrebbero essere modificati più velocemente e se le sia venuta qualche idea su come modificarli. In appendice al libro, l'Artoni riporta una utile Breve storia delle leggi sull'immigrazione, però ammette che “non sono una specialista quindi mi rimetto ovviamente ai giuristi, agli avvocati che si occupano di immigrazione in generale. La cosa che mi sconvolge è l'apparato repressivo che è stato messo in piedi per ottenere in realtà dei risultati pessimi, un risultato costoso in termini di vite e costoso anche in termini di soldi. Quindi secondo me sarebbe tutto da ristudiare, bisognerebbe ristudiare l'uso di quei finanziamenti e riportarli all'accoglienza. Tra i vari punti che mi piacerebbe segnalare è la possibilità di accesso [riservata solo] a coloro che hanno già un lavoro. Credo che sia un passaggio insulso che obbliga tantissime persone a mentire, dal datore di lavoro al cittadino straniero alle questure alla pubblica sicurezza. Di fatto in Italia l'accesso è per chi ha già lavoro, ma come si fa se non lo si ha e non si conosce nessuno? Quindi in realtà l'inghippo è questo: si arriva illegalmente, per poi tornare al proprio paese, per essere richiamati dal datore di lavoro tramite l'ambasciata, e qui possono passare anche 6-7-8 mesi. Quindi è un dispendio di soldi e di tempo e poi appunto c'è l'aspetto delle menzogne. Credo che bisognerebbe dare la possibilità agli stranieri di entrare in Italia per un periodo, dar loro la chance di cercare un lavoro senza sentirsi braccati. L'altro aspetto direi grave è l'esistenza dei CPT, che sono i Centri di Permanenza Temporanea, questo è il loro nome in realtà sono dei carceri speciali, illegali, dove avviene la più totale sospensione dei diritti per le persone che si trovano dentro; come dimostro anche nel libro, non ci finiscono solo le persone che hanno delle pendenze penali e devono essere espulse, ma anche persone che non sono in regola o sono trovate senza un documento. E' il caso di Lilli, la ragazza ucraina. Io credo che questi centri debbano essere chiusi al più presto e trasformati in veri centri di accoglienza, reali dico perché quelli che ci sono adesso hanno questo nome, ma in realtà non lo sono assolutamente – in realtà sono delle carceri – e la gestione credo debba passare a dei volontari, a delle associazioni umanitarie, tolti soprattutto dalla gestione della forza pubblica. Sappiamo che le forze pubbliche – Polizia e Carabinieri – sono addestrati per intervenire in situazioni di ordine pubblico e non è questa la situazione.”

Prendo la posizione di avvocato del diavolo e provo a scavare un po' nelle affermazioni di Cristina Artoni. Per esempio, una delle obiezioni più comuni degli italiani, specialmente di coloro che magari non hanno a che fare con queste situazioni, è quella che, alleggerendo le modalità di entrata, poi si faciliterebbe anche l'ingresso di possibili terroristi, criminali comuni, disonesti, per i quali invece è necessario un 'filtro'. “I controlli credo ci siano sempre e comunque. E, ad esempio, anche con le quote non è detto che si riescano a controllare tutte le persone che entrano in Italia. Credo che dare la possibilità di entrare sia semplicemente un modo di permettere a queste persone di non agire al di fuori della legge, di non essere dei clandestini e di dover scegliere una situazione di illegalità. I controlli ci sono sempre e comunque, quindi non conviene spingere le persone a truffare, a crearsi delle menzogne, anche perché poi così creiamo anche una grandissima rete di organizzazioni che lucrano sugli immigrati.”

Un altro aspetto della legge che viene evidenziato nel libro è che la maggiorparte dei controlli sono sugli immigrati, sui lavoratori. Visto che tutta la legge si basa sul fatto che il permesso di soggiorno debba necessariamente essere collegato ad un contratto di lavoro, vengono fatti dei controlli sul contratto di lavoro? Non sono solo gli immigrati che devono mentire, ma probabilmente anche chi poi gli dà il lavoro… “Certo, ci sono dei controlli,” spiega Cristina, “infatti la questione dei flussi, l'apertura delle quote è una delle richieste che arrivano dagli industriali sostanzialmente, soprattutto del nord-est per esempio, e quindi i controlli ci sono e le pressioni sono di questo tipo. L'apertura delle quote fa paura perché si teme che aumenti in questo caso la criminalità.”

Una cosa che manca nel libro, ma poi forse volutamente, è la voce di chi ha disegnato o voluto questa legge sull'immigrazione, e anche quella di chi la deve applicare sul campo, appunto le questure, le forze dell'ordine. Quella dell'Artoni “è una scelta, perché in realtà anche lo spazio [ti obbliga] a fare delle scelte. E' anche una scelta, ad un certo punto, politica, però l'ho fatto anche […] perché ho voluto dare voce alle persone 'dall'altra parte', no? Chi ha fatto questa legge ha tutte le strutture, i media dalla loro parte e vediamo anche come nei giornali, anche di sinistra, come Repubblica, tendono sempre a parlare della questione migratoria come di un problema, un'emergenza. Dobbiamo [invece] cercare di individuare il fatto che queste sono persone prima di tutto e poi magari sono stranieri, però hanno un bagaglio culturale che deve essere messo a frutto anche da noi, [devono essere] visti con altri occhi. Insomma io non ho voluto parlare dell'emergenza di coloro che […] scappano da una situazione sociale ed economica molto difficile, ma coloro che vengono in Italia per un interesse, che sia lavorativo, che sia per amore, affettivo, che sia quindi legato 'ad altro'”.

Anche la presentazione degli immigrati sui media è quindi parte del problema. Il tipo di articoli, il tipo di cronaca che viene riportata dai giornali, dai telegiornali influenza l'opinione pubblica. Per esempio, secondo una ricerca curata dal Censis, nell'informazione televisiva l'immigrato è nel 78% dei casi rappresentato all'interno di una vicenda negativa e l'argomento trattato riguarda nel 56,7% casi di criminalità/illegalità. L'Artoni concorda: “[gli immigrati] vengono sempre trattati come se fossero tutti clandestini, sembrano tutti venuti a rub
are il nostro posto di lavoro, sembrano tutti dei criminali soprattutto, no? […] Io credo che sia grave, nel senso che bisogna cercare di aprire gli occhi su una realtà che comunque l'Italia deve cercare di affrontare; siamo in un periodo di globalizzazione, che non significa solo la libera circolazione delle idee e dei capitali, ma anche la circolazione delle persone. Bisogna cercare di aprire queste frontiere con intelligenza se è possibile, e non trattare tutti quanti come degli invasori. Non rischiamo di essere invasi! E' un patrimonio culturale che va valorizzato”.

Un caso che mi ha colpito particolarmente è quello di Helena, nata a Firenze da genitori egiziani, la quale, al compimento della maggiore età, a causa proprio della legge Bossi-Fini, si è ritrovata priva del diritto alla cittadinanza italiana in quanto il padre, rimasto disoccupato nel 2002, non era riuscito a rinnovare il proprio permesso di soggiorno (“I figli, secondo la legge, seguono la condizione giuridica del genitore, quindi se i genitori sono regolari lo sono anche i figli”, spiega l'Artoni nel suo libro). In pratica la ragazza, perfettamente integrata nella società e nella scuola, a sua insaputa e senza alcuna colpa, se non quella di esser figlia di un 'irregolare', si è trovata dal giorno alla notte nella condizione di clandestinità che la maggiorparte dell'opinione pubblica associa, erroneamente ed ingiustamente, con sotterfugio, condotta riprovevole, illegalità, ma anche con criminalità e terrorismo internazionale.

Come sono trattati questi figli di immigrati in altri paesi europei? Purtroppo la situazione non è molto più rosea nella multiculturale Francia: Judith Revel, insegnante di filosofia in un liceo della periferia parigina racconta su L'espresso del 2 marzo 2006 dei suoi studenti che “a parte i sans papiers, che in effetti non sono francesi e avranno prima o poi problemi legali una volta maggiorenni, sono tutti 'francesi'. […] A settembre, ne hanno preso uno, che è stato messo in un centro di permanenza temporanea all'aeroporto di Roissy, in attesa di un aereo per il Camerun. […] I sans papiers che conosco a scuola sono una decina. Ma quanti altri non lo hanno detto? Quanti lavorano al nero per sopravvivere? Quanti non hanno né casa né famiglia di appoggio? Quanti non possono contare sul sistema sanitario?”. Considerando le esplosioni di violenza cui abbiamo assistito nel 2005 nelle periferie francesi, c'è poco da stare allegri e congratularsi per l'efficienza di una legge che prima o poi creerà un esercito di ragazzi e ragazze i quali, dopo aver vissuto per diciott'anni da 'italiani', rischieranno di ritrovarsi sans papiers a dover perdere pomeriggi interi per richiedere un pezzo di carta, l'agognato permesso di soggiorno, che permetta loro di continuare a vivere e socializzare nel paese che li ha cresciuti.


Bruno Mondadori

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