Sfatare il mito: cosa si cela dietro il traffico d'organi. Intervista con la professoressa Nancy Scheper-Hughes

Scheper-Hughes si è rivolta al Congresso degli Stati Uniti e al Consiglio Europeo e lavora a stretto contatto con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Grazie ai progressi fatti, alcune reti illegali sono state sgominate. In Brasile è stata formata una commissione parlamentare che affronta questo problema e in Sud Africa esistono programmi destinati ad innalzare il livello di consapevolezza delle forze di polizia e del personale sanitario che lavora nel campo dei trapianti. Ma rimane ancora molto da fare, anche se il coinvolgimento delle istituzioni è basso. Perché questa riluttanza ad affrontare il problema a livello politico? Secondo Scheper-Hughes il problema riguarda la percezione sociale della chirurgia dei trapianti: “I chirurghi che si occupano di trapianti sono tenuti in grande considerazione. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove lo status dei medici è stato in un certo senso ridimensionato dalla elevata tendenza a intraprendere cause legali, i chirurghi dei trapianti sono visti come i 'dottori dei miracoli' e possono essere considerati l’ultimo esempio del medico come sciamano, santone o addirittura Dio. Nessuno mette in dubbio il loro operato”. Ma allo stesso tempo la chirurgia dei trapianti suscita da sempre spinose questioni etiche: “sin dai suoi esordi la chirurgia dei trapianti ha operato in ambiti al di sopra della legge, perché per progredire ha dovuto per forza di cose trasgredirla. Christian Barnard ha dovuto asportare il cuore di un paziente sull’orlo della morte clinica; all’epoca non esisteva il concetto di 'morte clinica', quindi dovette necessariamente infrangere la legge per eseguire il trapianto. La risposta dell’opinione pubblica mondiale fu che se la chirurgia aveva bisogno di organi di persone clinicamente morte e non di quelli di coloro il cui cuore aveva cessato di battere, allora bisognava ridefinire il concetto di morte ed asservirlo alle esigenze della chirurgia dei trapianti”. “La proced
ura fu stabilita dal protocollo di Harvard”, prosegue Scheperd-Hughes, “composto da esperti di bioetica, chirurghi e religiosi e dove non c’era una reale resistenza al concetto di morte clinica”. “Non sono contraria a questo concetto”, si affretta ad aggiungere, “sto solo dicendo che c’è un sostegno unanime nei confronti del lavoro dei chirurghi dei trapianti, e lo stesso vale in questo caso”.

Il suo lavoro si è guadagnato l’approvazione di chi lavora nel campo dei trapianti, e nei congressi medici si cominciano ad affrontare dibattiti sul traffico d’organi. “Cominciano a prendere in considerazione il problema. I medici hanno paura, vogliono sapere se c’è un modo legale di agire. 'Possiamo cambiare le leggi per tenere il tutto sotto controllo?' Come nel caso delle leggi sulla droga e sulla prostituzione, la soluzione è legalizzare?”. L’Iran è l’unico paese che ha introdotto un sistema legale di compravendita e di trapianto degli organi. Non è però definitivamente certo che tramite la legalizzazione si possano eliminare tutti gli squilibri e i problemi etici. “In Iran la compravendita di reni è legale da 10 anni”, sottolinea, “ma rimane ancora il problema di chi vende. Usano gli stessi metodi dei 'cacciatori di reni' anche se li chiamano 'assistenti sociali'. Vanno negli uffici di collocamento, nelle carceri, ai margini della società e cercano di convincere le persone che quello è un modo per sfuggire alla miseria. Il governo iraniano promette circa 1.000 dollari a chi dona un rene e di sicuro hanno cancellato tutte le liste d’attesa. In Iran chi ha bisogno di un rene lo ottiene e questo è un traguardo. Peccato che venga ottenuto a spese delle classi più povere della società”. Nel sistema illegale con cui Scheper-Hughes ha a che fare, la maggior parte degli studi di follow-up e delle preoccupazioni sono rivolti ai trapiantati. Chi vende un organo invece, una volta conclusa la trattativa, perde importanza. “Queste persone vengono considerate cadaveri ambulanti non persone, si pensa che non abbiano bisogno di assistenza. Se il governo decide per la legalizzazione allora le leggi dovrebbero assicurare un’assistenza medica adeguata e una copertura assicurativa per chi ha venduto un rene. Ma la maggior parte di Paesi non sarà disposta a farlo”.

Per chi vende i propri reni i rischi sono molti e ovvi, in quanto le cure post-operatorie sono praticamente inesistenti. Scheper-Hughes ci racconta l’episodio realmente accaduto di un uomo brasiliano che per vendere un rene andò fino in Sud Africa. Subito dopo l’operazione, in preda ai dolori, fu messo su un aereo senza alcuna assistenza, in quanto gli obblighi della equipe medica erano conclusi. Inoltre, in molti Paesi esistono implicazioni sociali che riguardano la vendita di reni. Scheperd-Hughes ha conosciuto svariati casi di uomini che dopo aver venduto un rene hanno cominciato a soffrire di impotenza o di una diminuzione della virilità. Questo esemplifica alcuni dei pregiudizi che colpiscono chi ha venduto una parte del proprio corpo. “In Moldavia il pregiudizio si basa sul fatto che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le donne cominciarono a prostituirsi e gli uomini di robusta costituzione a vendere il proprio corpo facendosi asportare i reni. Di conseguenza nei villaggi questi uomini vengono, a livello simbolico, considerati prostituti. Da ciò sembrano scaturire tutte le altre ideazioni, ossia che si diventa impotenti e non si possono avere figli. Nessuno vorrebbe che la propria figlia sposasse un uomo che ha venduto un rene, l’ho sentito ripetere moltissime volte. E perché? Perché non è un uomo”.

Difficile trovare una soluzione. Scheper-Hughes e Organs Watch non hanno una risposta, vogliono però che si apra un dibattito. “Se pensiamo che le leggi vadano bene, e che non sia giusto che la medicina o la società permettano che i poveri si mutilino, allora le leggi devono essere osservate e nel momento in cui vengono violate, la punizione deve agire da deterrente: se è un crimine, almeno che venga trattato come tale”. Bisogna dire che fino ad ora solo una minima parte di quei medici che eseguono queste operazioni clandestine sono stati arrestati. “Tendo a considerarlo come una violazione dei diritti umani da parte dei medici”, prosegue Scheper-Hughes, “ma se si ritiene possibile ottenere un sistema che ha una carta dei diritti dei donatori, che assicura loro assistenza medica e informazione, dopo tutto l’autonomia è la principale qualità della moderna etica medica, il diritto dell’individuo di fare quello che vuole, anche comportarsi in modo stupido. Potrebbe essere una soluzione. Una soluzione triste, di cui non sarei convinta, ma almeno avrei l’impressione di aver fatto qualcosa di buono nell’aver messo la gente di fronte alla loro responsabilità nei confronti di quella popolazione invisibile che vende i propri reni”. Scheper-Hughes, sostenitrice di una 'antropologia militante' e pronta ad impegnarsi politicamente e moralmente, sente di avere un forte legame con le persone che sono costrette a vendere i propri organi: “Sono solidale con chi riceve il trapianto, considerata la loro sofferenza e il loro dolore. Ma essi hanno per lo meno una certa visibilità. Possono contare sull’empatia degli altri, finiscono sui giornali e hanno la solidarietà di tutti. Nessuno va da quelli che hanno venduto l’organo, perché vivono ai margini della società e non sono persone che hai voglia di abbracciare. Ma sono pur sempre esseri umani e hanno il diritto di essere rappresentati. Il loro corpo è una cosa preziosa. Si parla tanto del dono della vita, ma io parlo del dono del corpo, invece di dire “penso dunque sono”, si potrebbe dire “sono un corpo dunque sono”. L’essere costretti a vendere ciò che ci rende una persona nella sua totalità e il pensare che la nostra unica risorsa sono i nostri organi è una tragedia”.

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