Restaurazione e Invenzione: Il ruolo del linguaggio nell'invenzione della nazione irlandese e norvegese

Le nazioni non sono un fenomeno completamente nuovo. Il concetto di nazione irlandese e norvegese risale infatti al medioevo. Ciò che però costituisce una novità è il riconoscimento, da parte della popolazione in generale, di appartenere alla Nazione. L’essere umano è un animale sociale e, da tempi antichissimi, si è sempre definito come X, figlio di Y, originario di Z. All’alba dell’era moderna, questo innato senso della comunità ebbe la sua massima espressione nell’attaccamento al luogo di nascita e nella fedeltà al signore locale. La nascita dello stato moderno vide però l’allargarsi, dal locale al nazionale, di questi orizzonti. Stando a questi parametri la nazione divenne, secondo le parole di Benedict Anderson, una “comunità immaginata”1 poiché i suoi membri, pur non conoscendosi personalmente, condividevano un senso di appartenenza alla stessa comunità. Similmente ad un’altra grande comunità immaginata, la religione, la devozione alla nazione deve essere sostenuta dalla convinzione che tutti i membri sono uniti da uno stesso legame. La selezione e la promozione di ciò che è destinato a diventare un legame comune è quel che si potrebbe definire l’invenzione della nazione. Le persone hanno sostenuto la causa del nazionalismo sotto una varietà di bandiere: una terra comune, religione, etnia, storia e anche un linguaggio condiviso. In certi casi alcuni di questi elementi sono considerati prerequisiti dell’appartenenza ad una nazione mentre altri rinforzano il legame comune. Nel caso di Irlanda e Norvegia la lingua nazionale non fu un prerequisito di appartenenza alla nazione in quanto, in entrambi i paesi, essa era stata soppiantata dalla lingua del paese confinante e dominante. Alla lingua nazionale non era richiesto di rappresentare un comune veicolo per trasmettere il messaggio del nazionalismo, in quanto questa esigenza era già soddisfatta rispettivamente dagli inglesi e dai danesi. In entrambi i paesi però la lingua si dimostrò una forza potente nella genesi della nazione e fu utilizzata come strumento politico per spingere Irlanda e Norvegia all’indipendenza. Se si considera il fatto che il processo avvenne con modalità diverse nei due paesi si comprende come il nazionalismo possa assumere forme diverse, dando una minore o una maggiore enfasi ai vari fattori, a seconda dei paesi. La seguente disamina rivelerà inoltre i parallelismi esistenti tra i due nazionalismi e come essi sono stati vissuti nei due paesi. Si vedrà come i principi del nazionalismo culturale furono acquisiti dalla medesima fonte e che benché, tali principi furono applicati in modo diverso, il nazionalismo culturale ebbe il medesimo sviluppo in entrambi i paesi. La politicizzazione della questione della lingua ebbe infatti a che fare tanto con la competizione per il potere quanto con l’aspirazione ad un’identità irlandese e norvegese. Se la nazione è la comunità ideale, si può affermare che il nazionalismo divenne l’arte di indurre le persone ad immaginarla secondo determinati criteri. Uno sguardo al linguaggio post indipendenza è altrettanto illuminante. In entrambi i paesi esisteva una situazione paradossale in cui la lotta, che pretendeva di affermare l’essenza della nazionalità e l’esistenza di una lingua nazionale che accomunasse i cittadini di una nazione, divenne invece il motivo principale di una divisione che perdura tuttora.

In Germania, le idee di Herder e Fichte ispirarono un senso nazionale di autostima, che cominciò a diffondersi negli anni che seguirono l’occupazione francese agli inizi del XIX secolo. Questo crescente senso di identità nazionale si basava quasi esclusivamente sul possesso di una lingua comune. Herder scrisse che “senza una sua lingua un Volk (popolo) è un’idea assurda, una contraddizione in termini”. Che il nazionalismo tedesco si basasse sulla lingua non deve sorprendere poiché essa era l’unico comune denominatore in un insieme di stati altrimenti frammentario. Questo nazionalismo culturale basato sul linguaggio si diffuse dalla Germania al resto d’Europa e, se la questione della lingua fu fondamentale nella nascita della nazione tedesca, si impose decisamente anche in paesi come l’Irlanda, dove la lingua nazionale era quella della minoranza, e come la Norvegia, dove di essa non era rimasta traccia.

Tra coloro che aderirono a questo movimento vi fu la corrente del romanticismo che costituì una potente forza trainante di grande impatto emotivo. La nazione era considerata qualcosa di primordiale dal passato glorioso, la cui storia si dipanava nei secoli in progressione teleologica verso una nuova grandezza. Il passato veniva attentamente rivisitato alla ricerca di miti e saghe e le nazioni si inventarono un passato glorioso ed eroico dove la lingua costituiva un legame mai interrotto con quel passato. Romantico, eroico e glorioso questo concetto di nazionalismo ispirava poeti e patrioti e spingeva le persone a combattere e morire per l’ideale di patria. Non prese però questa direzione se non quando si trovò al centro della scena politica. In Norvegia e in Irlanda, il problema della lingua assunse connotazioni politiche in misura diversa sia per quanto riguarda la collocazione temporale che l’intensità, ma si può affermare che, in entrambi i casi, essa fu influenzata dallo sviluppo dei partiti politici e costituì un passo avanti verso un tipo di nazionalismo più esclusivo.

In Irlanda il nazionalismo culturale di ispirazione herderiana emerse in un’epoca dominata dal nazionalismo culturale di Daniel O’Connell. O’Connell aveva fondato un movimento nazional-popolare, celandolo dietro la sua campagna per l’emancipazione cattolica. Era un nazionalismo definito soprattutto dalla sua natura religiosa e, nonostante parlasse correttamente l’irlandese, O’Connell incoraggiò l’uso dell’inglese tra i suoi seguaci2. A partire dal 1831, il sistema scolastico nazionale sostenne la diffusione dell’inglese. Il sistema sfondava però una porta già aperta in quanto, grazie alla situazione economica vigente, l’irlandese era considerato la lingua dei poveri, mentre l’inglese era visto come la lingua delle grandi opportunità3. Era quindi difficile per Thomas Davis riconciliarsi con la realtà irlandese in quanto la sua visione delle cose, ispirata dal continente, sosteneva che “perdere la propria lingua madre e acquisirne una straniera è l’emblema peggiore della vittoria”4. Davis comprese che le passate glorie irlandesi, incluse quelle della lingua, potevano essere efficacemente diffuse tramite le pagine del The Nation, in inglese. Dopo la carestia, la lingua irlandese aveva subito un declino tale che il suo principale interesse divenne quello di difendere coloro che erano interessati alla sua conservazione, in contrapposizione al suo ripristino. La lingua aveva un ruolo minore in politica poiché il nazionalismo si concentrava sulla questione della terra e divenne una significativa entità politica a sostegno di Parnell e del partito parlamentare irlandese. Grazie all’aiuto di Gladstone a Westminster tutto faceva pensare che il nazionalismo costituzionale, reso cattolico da O’Connell, connesso alla lotta per la terra da Parnell, e divenuto anglofono e conservatore allo stesso tempo, si sarebbe imposto. L’unico problema del nazionalismo costituzionale era che il suo successo era costruito sulla promozione degli interessi dell’Irlanda cattolica e dal nord est sarebbe presto fatta sentire una voce, fino a quel momento ignorata, che intendeva impedire questo processo. Il veto unionista/conservatore d
ella Home Rule (N.d.T.: per Home Rule si intende il maggior potere decisionale concesso all’Irlanda riguardo al modo in cui essa veniva governata, potere che li affrancava dal dominio di Londra e che era teso a placare coloro che volevano una maggiore autodeterminazione per il paese) del 1886 fu la chiave di volta che portò a radicali cambiamenti dello scenario politico che avrebbero visto la lingua irlandese diventare un elemento centrale di una diversa concezione della nazione.

Mentre per tutto il XIX secolo l’uso della lingua irlandese fu limitato ai margini del nazionalismo, la situazione in Norvegia non era altrettanto definita. Dopo le guerre napoleoniche, la Norvegia, sotto il dominio della Danimarca dal 1397, venne annessa alla Svezia. La Norvegia si oppose e venne varata una Costituzione indipendente ma, dopo brevi ostilità, fu costretta ad accettare l’annessione alla Svezia. Le fu tuttavia concesso di mantenere la propria Costituzione e, con essa, buona parte della propria indipendenza5. Grazie all’improvvisa separazione dalla Danimarca, lo stato norvegese, che era stato represso per quattrocento anni, tornò ad esistere. Ma se non fosse nata una nazione norvegese ad affiancarlo, la recente indipendenza avrebbe potuto essere messa in discussione dagli svedesi. L’esigenza di una tempestiva reinvenzione della nazione coincise con l’affermarsi in Europa del nazionalismo di ispirazione romantica e molti norvegesi furono aderirono agli ideali tedeschi. Uno di essi fu il poeta Henrik Wergeland (1807-1845), il quale affermò:

“La Norvegia non deve più rimanere una provincia culturale della Danimarca. Se i norvegesi perderanno la fiducia in se stessi e nel loro futuro in ambito culturale la Norvegia non godrà più dei benefici dell’indipendenza politica.”6

La questione della lingua norvegese divenne motivo di grande interesse. Il vecchio norvegese aveva cominciato ad essere soppiantato dal danese in seguito all’annessione alla Danimarca avvenuta nel 1397 e, ai tempi della Riforma, grazie all’introduzione in Norvegia della Bibbia scritta in danese, questo processo fu completato. Il desiderio di troncare ogni legame con il passato danese, unito al nazionalismo linguistico di ispirazione tedesca, diede il via ad una riforma della lingua che aveva lo scopo di trasformare il danese parlato in Norvegia in lingua norvegese. In un suo saggio del 1835, intitolato Sulla riforma della lingua norvegese, Wergeland auspicò la necessità di una riforma e di una lingua scritta indipendente ma mise in guardia dal fatto che “la conquista e l’onore di una lingua indipendente” avrebbe portato la Norvegia ad “una guerra civile letteraria”7. Il danese parlato in Norvegia aveva una pronuncia caratteristica che si distingueva dall’originale. Le differenze tra le due lingue andavano dal danese quasi puro parlato nelle città a quello meno puro delle campagne fino agli oscuri dialetti delle aree più remote. L’approccio tradizionale alla riforma fu capeggiato da Knut Knudsen (1812-1895), la cui era intenzione era quella di prendere quello che lui definiva byfolkets talesprog (la lingua parlata dagli abitanti della città) e introdurre gradualmente e nel tempo un’ortografia più norvegese. Ivar Aasen (1813-1896) adottò un approccio più radicale che considerava i dialetti delle aree più remote non come forme degeneri del danese bensì come residui alterati del vecchio norvegese. La conseguenza fu che emersero due definizioni diverse di norvegese: una più comunemente accettata e conservatrice che cercava solo di dare lustro al danese parlato nelle aree urbane della Norvegia per poi definirlo norvegese; l’altra, più rivoluzionaria nel contenuto, sosteneva che quegli oscuri dialetti costituivano un legame con la vecchia lingua. Utilizzando questi dialetti Aasen ideò un linguaggio completamente nuovo che definì norvegese. Per distinguere tra le due lingue, la versione di Aasen fu chimata Landsmal (lingua delle campagne). Apprezzata da poeti e scrittori sarebbe rimasta poco più che una curiosità linguistica se nel 1880 non fosse stata utilizzata come strumento politico.

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