Lo Sciamano di Harvard: Intervista a Wade Davis

In questo Paese [n.d.t.: in America], la paranoia si va intensificando a ritmi allarmanti, questo nascondersi dietro le barricate a scopo difensivo che esiste a livello domestico, esiste anche a livello internazionale. Il fatto è che quando si considererà retrospettivamente questa amministrazione, essa risulterà essere la peggiore e la più incompetente, poiché ha compromesso l’integrità dell’intero Paese distruggendo quelle relazioni su cui si basava il dialogo internazionale. Pensiamo a come questo presidente ha scialacquato il capitale morale raggiunto dopo l’11 settembre. Per un paio di meravigliose settimane il mondo è stato solidale con la tragedia degli americani. Questo atto di buona volontà è stato calpestato nel modo più arrogante, ignorante e stupido; dico stupido perché è andato contro il suo stesso interesse.

Se lei potesse avere un ruolo guida nella così detta 'Guerra al terrore' come la combatterebbe?

Subito dopo l’11 settembre ho scritto un appassionato editoriale sull’International Herald Tribune a Parigi e ho discusso uno dei problemi cui accennavo prima. L’America si trova in una posizione di grande autorità ma allo stesso tempo è affetta da miopia culturale. E’ una situazione molto difficile per un paese, che è talmente ricco che un cittadino americano spende più soldi per curare il prato di casa sua di quanto l’intera India raccolga con l’imposta sulle entrate. Qui il budget stanziato per la difesa è una percentuale irrilevante del prodotto interno lordo, ma è maggiore del reddito economico dell’Australia. Come può un paese come gli Stati Uniti capire un mondo in cui 2 miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno? Dipendiamo da Internet; come può questo mondo sapere cosa significa non aver mai ricevuto una telefonata, o men che meno non aver mai spedito una e-mail?

Noi esportiamo la nostra versione della realtà, quella occidentale, che è solo una delle tante versioni, l’avanguardia e cose del genere. A volte le persone, o perché costrette o perché incoraggiate o di propria volontà, voltano le spalle alle loro tradizioni per aspirare a raggiungere questo nostro mondo che loro possono solo immaginare, con l’idea che, se ne seguono i dettami, i paradigmi economici, sociali e politici, un giorno raggiungeranno quel livello di ricchezza di cui godiamo qui in Occidente. La verità è che, perché la popolazione mondiale raggiunga il livello di benessere dell’occidente nel 2100, sarebbero necessarie quattro volte le risorse del pianeta Terra solo per soddisfare il consumo di energia: il che significa che ciò non accadrà mai. In alcune parti del mondo le persone voltano le spalle al proprio passato per aspirare al gradino più basso di una scala economica che non porta da nessuna parte. Non possono neanche tornare indietro perché in molti casi hanno imparato a disprezzare ciò che sono. Cosa significa progresso? Significa emigrare in città del terzo mondo che giorno dopo giorno diventano oasi di miseria. Città come Lima che nel 1940 aveva una popolazione di 400.000 persone mentre oggi ne ha quasi 13 milioni, per lo più persone che tentano di sbarcare il lunario vivendo ai margini della economia basata sul denaro.

Gli indici di sviluppo ci dicono molto poco sull’attuale qualità della vita di queste persone; l’aspettativa di vita che si allunga, ad esempio, potrebbe significare che la mortalità infantile è in diminuzione, ma continuano a darci poche indicazioni sulla qualità della vita di queste persone. I redditi pro-capite valutano la generazione del contante secondo un determinato paradigma economico, ma dicono assai poco sulla qualità della vita. Come si fa a paragonare la vita in una economia non basata sul denaro, in un contesto rurale con la vita nei bassifondi di una metropoli e con un lavoro in una azienda che sfrutta i lavoratori?

Uno degli insegnamenti dell’antropologia è che quando le persone vengono strappate alle loro tradizioni, alla loro cultura, possono accadere vere e proprie tragedie. La cultura d’appartenenza non è un semplice elemento decorativo, essa è una coperta termica in cui noi ci avvolgiamo per tenere lontano quel cuore barbaro che, come la storia insegna, giace sotto la superficie degli individui, ma anche per comprendere questa sensazione, per trovare un ordine e un significato in un mondo che ultimamente è carente di entrambi. Come diceva Lincoln, è la cultura che ci permette di raggiungere i migliori angoli della nostra natura [n.d.t.: la nostra partemigliore]. Quando l’individuo viene allontanato da questa cultura e sopravvive come l’ombra di ciò che era stato una volta, possono accadere cose tremende.

Riguardo all’11 settembre, non voglio dire che chi si è reso colpevole di questo atto criminale non debba essere perseguito ed esiliato dalla società, ma allo stesso tempo è necessario capire che cosa ha originato quell’odio. Io credo che il mondo non possa più tollerare una situazione in cui una così grossa percentuale delle risorse mondiali è controllata da una percentuale così minima di popolazione mondiale.

Faccio riferimento a un retroscena nascosto della nostra epoca. Si fa un gran parlare della perdita di diversità biologica, di quella dell’habitat naturale e di certe specie di animali e piante, ma nessun biologo oserebbe affermare che il 50% di tutte le specie di vita sia sul punto di morire o di estinguersi, poiché questo è semplicemente falso. Ma questo scenario apocalittico nel regno della biodiversità si avvicina a ciò che noi sappiamo essere lo scenario più ottimistico nel campo della diversità culturale; il maggior indicatore di questo fenomeno è la perdita della lingua. Quando la maggior parte di noi è nata esistevano sei mila lingue parlate sulla Terra. Una lingua non è solo un insieme di vocaboli e regole grammaticali, è una parte dello spirito umano, è un mezzo attraverso il quale l’anima di un popolo entra in contatto col mondo materiale. Oggi la metà di queste sei mila lingue non viene più insegnata ai bambini, il che significa che in prospettiva esse sono morte. Viviamo un’epoca in cui buona parte del testamento intellettuale e spirituale dell’umanità verrà perso nel giro di un paio di generazioni. A mio parere, la cosa più sconvolgente è che queste altre società e culture non sono tentativi falliti di modernità, non sono società bizzarre e pittoresche destinate a scomparire pe
r una legge naturale; al contrario, sono esseri umani dinamici spinti all’estinzione da forze identificabili. Questa è un’osservazione ottimistica: se l’uomo è agente di distruzione di una cultura può anche essere agente di agevolazione della sopravvivenza della stessa.

Parlo dal punto di vista di un irlandese – la lingua irlandese è a tutti gli effetti una lingua morta, ma non si può certo dire lo stesso della cultura irlandese. Fino a che punto una lingua è la chiave di interpretazione di una cultura? Non è un caso che le lingue e le culture siano in un certo senso soggette alle leggi di Darwin, dove a sopravvivere è il più forte?

Il linguaggio non va necessariamente di pari passo con la cultura, basta considerare l’esempio delle comunità indigene dell’Alaska che, pur avendo perduto la loro lingua, conservano ancora un forte senso di appartenenza culturale. Quello della lingua è un tema interessante perché è un indicatore assai utile e concreto. È come il canarino nella miniera. Si parla di culture che vengono assimilate o che scompaiono; è tutto alquanto confuso, ma ciò che si può veramente sapere è quando una lingua muore. È un fatto concreto, che da’ una scossa alle persone. Certo, ci sono molti che dicono : “Il mondo non sarebbe un posto migliore se parlassimo tutti la stessa lingua?”. La comunicazione non sarebbe facilitata? Al che io rispondo sempre: “Che bella dea! Ma che questa stessa lingua sia lo Yorba, il cantonese o il Quechua” e improvvisamente si comincia a capire come ci si sentirebbe ad essere circondati dal silenzio, a non poter tramandare la cultura dei propri antenati o ad affrontare i problemi dei tuoi figli. E questo accade veramente a qualcuno quasi ogni giorno, ogni due settimane circa qualcuno muore e si porta nella tomba le ultime sillabe di un’antica lingua.

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