La Cronista delle Catastrofi – un colloquio con Åsne Seierstad, giornalista ed autrice del libro Il Libraio di Kabul.

Il libro penetra in una maniera fuori dell'ordinario nelle vite di una famiglia afgana. Quali affinità ha riscontrato con le vite di queste donne, così remote dalla sua?

“Ebbene, è davvero un altro mondo. A livello di certezze fondamentantali siamo davvero diverse. Queste donne non hanno alcun accesso al mondo esterno, hanno imparato a vedere la realtà con un ottica del tutto particolare. Per loro ero un'estranea che stava lì per scrivere un libro. Si confidavano con me quando sentivano di farlo, dandomi solo ciò di cui volevano liberarsi. Sebbene sia riuscita a comprendere qualcosa della loro vita, non credo di poter affermare di averle capite per intero, o di aver stabilito un rapporto con loro – forse ad eccezione di Leila, in misura limitata.”

Ciò che l'ha colpita maggiormente è lo squilibrio e l'ingiustizia che regna all'interno di questa comunità familiare. Le donne, continua Seierstad, pur essendo inconsapevoli del loro diritto ad un rapporto alla pari con l'uomo, di fatto reagiscono ai soprusi con cui Kahn gestisce la vita della famiglia. Questi compra la frutta ma permette solo a qualcuno dei familiari di assaggiarla. Potrebbe mandare suo figlio minore a scuola, invece lo tiene isolato da solo nella bottega.

Non descrive solo la disperazione delle donne. In una descrizione affascinante del figlio maggiore, osserviamo il ripetersi dei modelli di comportamento e il perpetuarsi del ciclo delle angherie. Mansur è un prepotente, e tratta sua madre e le sorelle con disprezzo. Tuttavia vediamo che lo stesso Mansur è inibito dalla tirannia di suo padre e dalle rigide regole della società . Sono rimasta sorpresa nel leggere la sua storia nei più intimi dettagli. Come è riuscita la Seierstad a convincere un maschio musulmano, a confidarsi con lei?

“[Sentivo che] aveva un gran bisogno di sfogarsi e non poteva peraltro farlo con nessuno. Io stessa mi sono chiesta il perché mi abbia raccontato tutte quelle storie, e presumo che sentisse davvero il bisogno di parlare con qualcuno senza essere giudicato”.

Seierstad afferma che nello scrivere il libro ha semplicemente provato a descrivere il corso degli avvenimenti. Era lì da osservatrice e non da riformista, ed è stata molto attenta a non esprimere la propria opinione. Si è premurata di verificare tutto ciò di cui non è stata testimone diretta. Ha intervistato più di una volta i protagonisti di ogni storia.

“Talvolta la verità è venuta a galla solo dopo aver scavato uno strato dopo l'altro di dolore”.

“ Forse la mia opinione trapela in ogni caso”, ammette. In uno dei capitoli descrive la visita delle donne all'Hamman, o bagni pubblici. Lavate e profumate, le donne si rivestono con i Burka riappropriadosi subito del loro odore. Il burka glielo impone sulla pelle. L'odore di schiavitù antica, di schiavitù moderna. ”

Seierstad dà eco alle voci degli schiavi. La sua curiosità personale e “l'urgenza di svelare la realtà di ciò che accade” l'avvicina a loro. Osserva, interroga e riporta le loro storie. Così facendo pone in risalto l'importanza della situazione in cui versano.

Seierstad ha donato circa 120'000 Euro (metà degli introiti) ricavati dalla pubblicazione del libro, per l'attuazione di tre iniziative in Afganistan. La costruzione di una scuola femminile che a partire da Ottobre consentirà a 450 ragazzine afgane di ricevere un'educazione. La seconda iniziativa è quella di istituire dei corsi di ostetricia; l'Afganistan soffre del tasso di mortalità infantile più alto al mondo. La sua donazione è inoltre destinata a coadiuvare la costruzione di biblioteche nei villaggi per fornire testi scolastici ai bambini più poveri.

Si preoccupa del risorgere del regime Talebano, responsabile fra le altre cose di dare alle fiamme le scuole femminili. Talvolta pensa che sia quasi impossibile cambiare le cose, eppure ribadisce, “non si può lasciarli vincere. Se non ci adoperiamo a promuovere la costruzione di scuole, a migliorare la vita delle donne, gliela diamo vinta. Adesso perlomeno qualche ragazza può fare delle scelte, ha l'opportunità di ricevere un'educazione”.

Dopo aver fatto ritorno in patria dall'Afganistan, Seierstad si è recata Bagdad dove ha vissuto per diversi mesi. È stata la sola cronista scandinava rimasta in città durante l'invasione americana. Ha ritenuto importante restare per descrivere gli effetti del conflitto sugli abitanti della città. Voleva che il resto del mondo sapesse quello che stava accadendo per formarsi una propria opinione sulla realtà dei fatti.

Nelle storie di Bagdad, la Seierstad si distingue per la sua abilità di cronista della realtà. Introduce persone e fatti e lascia che si commentino da soli. Le madri che tentano di proteggere i propri figli dal frastuono delle bombe. Il prezzo delle batterie. Il dilemma dell'iracheno comune: soddisfatto di essersi liberato di un despota, ma umiliato dall'invasione occidentale del proprio paese.

“Se Bush e la sua coalizione avessere davvero voluto comprendere ciò che è importante per la gente irachena, penso che avrebbero agito diversamente in molti rispetti. Magari tendando di comprendere l'importanza dell'orgoglio arabo e leggere la loro storia. Gli Iracheni si sono sentiti umiliati e la guerra crea inevitabilmente una spirale di odio e di violenza che alimentano il fondamentalismo.”

Seierstad si dice preoccupata dall'insorgere del fondamentalismo arabo. Ritiene che le guerre e le distruzioni che colpiscono la Cecenia, l'Afganistan e l'Iraq hanno una fattore in comune: l'aver tramutato giovani arrabbiati in pericolosi fanatici.

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