La conta dei morti. Il progetto Iraq Body Count.

“La vera questione non è se siano giusti i dati di The Lancet o se abbiamo ragione noi. La vera questione è come mai questa cosa non la stanno facendo i governi britannici e americani?” si interroga John Sloboda, uno dei fondatori di Iraq Body Count (IBC). “Come mai la lasciano fare a piccoli progetti sottofinanziati, a volontari e studiosi? Non è un lavoro per i volontari [ride rassegnato], è lavoro per i governi, e crediamo che ci debba essere un qualche cambiamento nella legge internazionale, per far sì che le parti in conflitto siano tenute a comunicare le vittime fra i civili di un paese in guerra ad un ente internazionale come il Consiglio di sicurezza dell'ONU. Molte persone addirittura si sorprendono e indignano nello scoprire che, secondo le leggi internazionali, le parti belligeranti non sono tenute a fare una stima delle vittime che il loro conflitto ha provocato. Tutto quel che esiste è una dichiarazione molto vaga secondo la quale devono fare tutto il possibile per proteggere i civili e naturalmente, come un mantra, i governi statunitensi e britannici ripetono continuamente che stanno facendo tutto quel che è in loro potere, ma in effetti la prova se hanno fatto tutto quel che è in loro potere sta nelle cifre dei morti, e su questo si rifiutano di discutere.”

In un dossier dettagliato, che analizza le informazioni raccolte dall'organizzazione in due anni di lavoro, emerge una quantità notevole di dati e cifre con le quali i governi statunitense e britannico, assieme ai loro alleati, come ad esempio l'Italia, hanno il dovere morale di fare i conti.

Per esempio:

      Dei 42.500 feriti riportati dall'IBC fra i civili, almeno 21.000, ovvero almeno il 50%, sono dovuti alle forze armate della coalizione.

“Abbiamo ritenuto che un periodo di due anni fosse sufficiente per un campione in cui potessero emergere i trend mensili, i raffronti annuali, per poter pubblicare un resoconto comprensivo su tutto quel che sappiamo ad oggi,” dice Sloboda a proposito della pubblicazione del rapporto. Sono i dettagli ed i raffronti che sconcertano alla lettura, perché Sloboda è il primo ad ammettere che i dati non sono definitivi: “Non abbiamo mai preteso che i nostri dati diano il quadro completo. Crediamo però che costituiscano uno schema rappresentativo, e la cosa importante è che queste cifre sono per certo sicure, casi di decessi che noi abbiamo accertato, di cui siamo certi. Abbiamo un elevato grado di informazione sul luogo di un incidente, il giorno e spesso l'identità delle vittime, le armi usate, e chi ha premuto il grilletto, ed è sulla base delle informazioni analizzate statisticamente per quasi 25.000 casi di decessi che siamo in grado di produrre questi dati quasi esclusivi su intervalli, trend, proporzione di uomini, donne, e bambini uccisi, di vittime di armi diverse, che si rivelano corrette che sia completo o meno l'episodio. Tutti questi che insistono a blaterare che il nostro conteggio non è completo non vanno al punto della questione. Anche noi, certamente, vogliamo un conteggio completo, ma l'unico modo di averlo è di fare un censimento porta a porta per ogni casa in Iraq.”

Metodologia

E' importante ragionare sulla metodologia dell'Iraq Body Count, che non è esente da critiche. Nei loro dati, aggiornati regolarmente, e che appaiono su un numero stimato attorno ai 70.000 di siti web (compreso Three Monkeys Online), le cifre sul numero di civili uccisi nel conflitto comprendono le vittime di terroristi e di criminali comuni. Mentre organizzazioni come FOX News hanno insinuato alcune velate imparzialità nel progetto, all'IBC sono chiarissimi sui loro criteri di inclusione, i quali tengono conto anche delle vittime di forze non statunitensi, in un conteggio che vuole offrire uno spaccato delle conseguenze umane dell'invasione guidata dagli Stati Uniti. “Il fatto è questo, che non avremmo avuto nessuno di questi decessi se non ci fosse stata l'invasione, perciò per un verso tutte queste morti diventano una responsabilità di quelli che hanno deciso l'invasione. Naturalmente anche altri ne hanno, ma il punto è che gli Stati Uniti e il Regno Unito non possono sfuggire all'onere di un aumento della criminalità come risultato dell'invasione e del successivo disgregarsi dell'ordine e della legge. Non possono rifiutare la responsabilità per le morti causate da ribelli che non sarebbero apparsi se non fosse avvenuta l'invasione.”

Non sarà, però, che conteggiare i civili vittime di attacchi suicidi, insieme a quelli uccisi direttamente dalle forze della coalizione, porta a confondere la questione? “Niente affatto, – replica Sloboda deciso, – anzi la rafforza, perché offre una visione completa. Non penso che ad una madre in lutto importi molto sapere se il proiettile che ha ucciso il figlio proviene dall'arma di un ribelle o da quella di un soldato americano. E' importante avere un quadro completo dei decessi”.

Il metodo usato dall'IBC, spiegato in dettaglio sul loro sito [N.d.T.: e disponibile anche in italiano], si basa su quello impiegato dal professor Marc Herold, e sui dati sul conflitto forniti dai media. Il gruppo di lavoro dell'IBC vaglia quotidianamente le notizie riportate dagli organi d'informazione sulle vittime del conflitto e seleziona quei dati che rispondono ai seguenti criteri: a) provengono da una fonte accettabile, a giudizio dell'IBC (sono state utilizzate sia al Jazeera sia FOX News, e secondo Sloboda “la gran parte delle nostre fonti alla fine si sono rivelate quelle americane, quindi le accuse di atteggiamenti anti-americani non reggono”), e b) le loro fonti sono ampiamente citate e referenziate da altre fonti. “In altre parole ci affidiamo alle interconnessioni fra la stampa ed i media mondiali e alla loro professionalità, per estrapolare le storie. Un altro criterio è che non pubblichiamo un incidente che non sia stato riferito da due fonti indipendenti e che riportino lo stesso numero di morti. Ciò ci permette di escludere alcune quelle denunce non accurate o false che a volte appaiono su alcuni dei siti web più estremi ma che non vengono recepite da altri media autorevoli.”

Detto ciò, è importante enfatizzare che i dati riportati dall'IBC, per quanto verificati, non rappresentano il numero totale, ad oggi, delle vittime civili del conflitto in Iraq, numero che, bisogna dedurre, deve essere più alto, date le difficoltà riscontrate dai media, per la continua violenza in Iraq, nel riportare efficacemente tutti i casi. Una delle domande che viene posta più spesso a Sloboda riguarda il rapporto fra l'operato dell'IBC e lo studio prodotto dalla rivista medica The Lancet [N.d.T.: in uno studio pubblicato il 29 ottobre 2004, il numero dei civili morti veniva stimato nell'ordine di 100.000]. “La metodologia da loro usata è molto diversa dalla nostra. Loro hanno intervistato quasi mille famiglie, prese a caso in tutto l'Iraq, chiedendo quante persone del nucleo familiare fossero venute a mancare. Poi hanno moltiplicato per un fattore numerico e hanno trovato una stima per l'intero paese. Come nei sondaggi d'opinione, c'è sempre un margine d'errore in que
ste operazioni, e più piccolo è il campione, maggiore il margine d'errore. Il margine d'errore nel loro rapporto, e non lo hanno nascosto in nessun modo, era di 8.000 in difetto e 200.000 in eccesso. Una cifra di mezzo è 100.000, da qui il numero.” Dello stesso tipo è un altro studio, simile ma più esteso, condotto dall'United Nations Development Council. “Non si possono paragonare questi studi al nostro. Prima di tutto, i periodi sono diversi. Questi sono stati condotti la scorsa estate e coprono un intervallo di tempo inferiore al nostro. Inoltre non c'è distinzione nei loro studi tra vittime civili e combattenti, mentre noi abbiamo prestato moltissima attenzione ad escludere chiunque fosse stato identificato per certo come combattente.”

E in che modo l'IBC definisce i combattenti? “Dal punto di vista morale, più che legale. Chiunque dia inizio ad atti di violenza mortale ed uccida, o cerchi di uccidere qualcuno senza essere stato provocato o per autodifesa, quello per noi è un combattente. Che abbia o meno uno status militare ufficiale. Quindi, ad esempio, tutti gli autori di attacchi suicidi noi li consideriamo combattenti. In più, quando ci sono delle vittime di un kamikaze noi prima della pubblicazione sottraiamo sempre quest'ultimo dal totale delle vittime, o più d'uno a seconda del numero di kamikaze coinvolti.”

Bombe intelligenti e guerra high-tech

La prima guerra del Golfo del '91 ci ha fatto conoscere il concetto di guerra high-tech, ad alta tecnologia, in cui i reporter potevano guardare fuori della finestra e vedere i missili cruise svoltare gli angoli per colpi ad alta precisione. Un decennio più tardi, in questa nuova era bellica, con le parole strombazzanti di un commentatore dopo l'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, “usando bombe JDAM [N.d.T.: Joint Direct Attack Munition, missili-bomba teleguidati dai satelliti] e altre armi guidate, i pianificatori hanno potuto disegnare traiettorie aeree per colpire obiettivi urbani che altrimenti sarebbero stati off limits, per il timore di danni collaterali. La capacità di abbattere il regime iracheno edificio per edificio ha avuto un pesante effetto sul nemico”.

Un'opinione presumibilmente condivisa dal presidente Bush, che lo scorso maggio, rivolgendosi ai cadetti dell'Accademia navale di Annapolis, in Maryland, disse: “In questa nuova era bellica siamo in grado di colpire un regime, non una nazione, e ciò significa che i terroristi e i tiranni non possono più sentirsi al sicuro nascondendosi dietro gli innocenti. Nel ventunesimo secolo possiamo colpire i responsabili e proteggere gli innocenti, cosa che serve a mantenere la pace”.

Vale la pena riportare per esteso le note del dossier relative ai dati sui bambini uccisi e le armi utilizzate:

“Se si dà per scontato che siano gli adulti, e non i bambini, gli obiettivi da colpire in una guerra, il rapporto fra bambini e adulti uccisi da diversi tipi di armi può servire a vedere quanto queste siano indiscriminate. Le armi di 'precisione' e ad alta potenza, ad alta tecnologia, causano fra le vittime una proporzione bambini/adulti maggiore rispetto a strumenti relativamente primitivi quali le armi portatili e le bombe sulla strada, azionate manualmente. Quali che siano i benefici per i soldati ed i vantaggi da un punto di vista militare, le armi 'a distanza' che mettono, appunto, una distanza tra i soldati ed i loro obiettivi dichiarati, sembrano avere una maggiore probabilità di causare danni accidentali ai passanti. La mortalità infantile è la più bassa per quanto riguarda le armi a mano, il che indica che civili chiaramente riconoscibili hanno più probabilità di venire risparmiati quando i combattenti sono in grado di controllare e dirigere il fuoco in prima persona.”

I bambini rappresentano il 42,3% delle vittime di attacchi aerei; il 6,5% di vittime di piccole armi.

Tendenze

Dal dossier emerge chiaramente un elemento a favore delle forze della coalizione: il numero dei civili uccisi direttamente dalle truppe della coalizione è sceso drasticamente. “Non c'è dubbio,” concorda Sloboda. “Il numero dei civili direttamente uccisi dalle forze americane dall'inizio del 2005 è molto basso, e di solito si tratta di incidenti ai checkpoint ecc. [N.d.E.: come nel caso dell'agente dei servizi segreti italiani Nicola Calipari]. La gran parte delle morti violente oggi sono dovute a crimini, a forze contrarie alla coalizione e a forze ignote.”

Dà di cui pensare anche il calo degli omicidi avvenuti al di fuori della diretta influenza delle forze della coalizione. Se spesso la linea di discrimine è incerta, come fa notare il LA Times (“ In alcuni casi, secondo le autorità, i moventi sono così oscuri che non riescono a capire se stanno investigando un crimine travestito da atto di guerra o un assassinio politico mascherato da violento litigio d'affari”), secondo l'IBC le forze di ribelli anti-US sono responsabili fra il 9 e il 15% di tutti gli omicidi di civili, mentre gli omicidi legati al crimine sono responsabili fino al 36% delle vittime fra i civili.

Sloboda è un professore di psicologia, con un interesse particolare per la psicologia della musica. E' anche un indefesso attivista: “Sono un membro a vita di quel che si potrebbe chiamare 'il movimento per la pace'. Ho sempre pensato che le risposte di tipo militare a situazioni di crisi siano ammissioni di fallimento da parte dell'umanità, che ci sia sempre una strada migliore”. Questo suo passato, associato ai forti editoriali sul sito dell'IBC di critica alla decisione di entrare in guerra, gli hanno guadagnato le accuse di dati distorti pregiudizievoli.

Il che chiude il cerchio. Se i dati raccolti dall'Iraq Body Count creano problemi, di chi è la colpa? I governi americano e britannico hanno la responsabilità morale, se non legale, di raccogliere e presentare queste informazioni agli elettori. O forse i civili iracheni non contano?


Il progetto IRAQ BODY COUNT