In lotta con il passato – un incontro con Michael Cimino

Come vi immaginereste Michael Cimino, regista de Il cacciatore e I cancelli del cielo? Questa domanda mi occupa la mente, mentre me ne sto seduto con una birra nel cortile dell'elegante Cinema Lumière di Bologna ad aspettare l'arrivo del celebrato cineasta americano. Una domanda, sì, perché non ho idea della risposta. Esistono fotografie che lo ritraggono sul set de Il cacciatore, pettinatura gonfia come ci si aspetta si addica ad un regista cinematografico negli anni '70 (e poi non così lontano da come appere Christopher Walkien ne Il cacciatore), ma, a tutti gli effetti, il regista americano si è ritirato dall'immagine pubblica dopo il tragico fiasco de I cancelli del cielo. In un certo senso. In realtà ha diretto altri film, come L'anno del dragone, senza infamia e senza lode da parte della critica, a confronto con i due film precedenti. Ha anche scritto un romanzo, Big Jane, che, secondo alcune dichiarazioni del 2001, avrebbe intenzione di sceneggiare e trasformare in un film. Eppure, l'interesse generale rimane pur sempre focalizzato su quei due film coraggiosi, che hanno fatto e disfatto il suo successo. Che apparenza avrà? Sarà ingrigito e appassito dal suo viaggio dedaleo tra fama e infamia?

La partecipazione di Cimino all'annuale festival del Cinema Ritrovato a Bologna è attesa con impazienza. E', come si dice in Italia, un 'grande'. Una leggenda del cinema. Nato, ufficialmente, nel 1943 (si rumoreggia che sia nato qualche anno prima), Cimino si affaccia al mondo della cinematografia come sceneggiatore ed è menzionato nei titoli di coda dell'importante film di fantascienza 2002: la seconda odissea e nel secondo episodio della saga dell'ispettore Callaghan di Clint Eastwood, Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan. Ed è stato proprio Eastwood a lanciare il newyorchese come regista, essendo stato favorevolmente impressionato dal suo lavoro nel film sull'ispettore Callaghan. Una calibro 20 per lo specialista del 1974 ha avuto un ragionevole successo, e si trasformò in un film cult. Dopodiché diresse Il cacciatore, premiato con l'Oscar per Miglior Film, un successo di critica e di botteghino che rese Cimino uno dei registi più richiesti di Hollywood. Il film successivo, I cancelli del cielo, avrebbe distrutto questo successo e mandato in bancarotta uno Studios di Holywood allo stesso tempo.

La pace del tardo pomeriggio è improvvisamente spezzata dal subitaneo arrivo di tre eleganti macchinoni neri dai vetri oscurati. Si fermano in sterzata, lentamente, e da una di esse esce questa figura medio-piccola, vestita con un completo in terra di Siena e il cappello da cowboy più impressionante/ridicolo mai visto al di fuori dei confini texani. Il Michael Cimino version 2005 è arrivato.

Da vicino, il viso è oscurato sia dal cappellone, che lo rimpicciolisce, sia da un paio di occhiali da sole scuri, che devono rendere la penombra all'interno del Lumière simile al lato scuro della luna. Non se li toglierà neppure per un momento.

“Sono veramente orgoglioso di aver ceduto una copia della mia sceneggiatura di lavoro personale de Il cacciatore alla biblioteca di Bologna,” osserva, mentre studia l'interno del cinema, le labbra quasi immobili. La pelle del viso appare stirata; la mandibola sembra muoversi autonomamente. Forse è maleducato, ma mi viene in mente Michael Jackson…

Il regista è qui sia per presentare il suo capolavoro del '79, Il cacciatore, sia per tenere una lezione agli studenti di cinema dell0università di Bologna. “Uno dei motivi per cui mi sono offerto di tenere questi seminari è, se posso essere volgare per un momento, che credo che gli studenti siano stufi di stronzate,” dice sorridendo. “Mi piacciono i film, – continua, – mi piace la parola movie [N.d.T.: film in inglese], perché è questo che sono, 'in movimento'. Il cinema è un'altra cosa. Quando smetti di muoverti, sei morto. Troppe sciocchezze sono state propinate agli studenti in merito a tecniche, ruoli, riguardo a così tante cose che non hanno nulla a che vedere con il cuore di un film. Dobbiamo riprenderci, gli studenti devono riprendersi la loro parte spirituale; anche se questo può sembrare pretenzioso, o persino ridicolo, è verissimo.”

Il cuore di un film. Questo è ciò che interessa a Cimino, e come arrivarci. “Prima di iniziare ad obbedire a delle regole, bisogna romperne,” dice enfaticamente. “Ho diretto Il cacciatore da giovane. Se avessi frequentato una scuola di cinema prima di fare questo film, non lo avrei mai fatto. Avrei avuto troppa paura. A tutt'oggi le mie assistenti mi dicono, 'Michael, questo non può funzionare. Stai andando al di là della linea della visuale'. Io ancora non ho idea di cosa sia la linea della visuale!”

Forse però è finita l'era in cui i film potevano essere fatti facilmente rompendo le regole. Si potrebbe insinuare che l'epoca del rischio su grande scala, con la benedizione dei magnati hollywoodiani, sia stata terminata, pur se involontariamente, da registi proprio come Cimino. I cancelli del cielo rimane un argomento elusivamente tabù per la serata.

“Non c'è neanche un centesimo di denaro di Hollywood in questo film,” dice a proposito de Il cacciatore. E' come se, anche se nessuno glielo chiede, le recriminazioni riguardo a I cancelli del cielo continuassero a ronzare sotto al cappello da cowboy. “Tutto il finanziamento proveniva da una società inglese [EMI]. Coprirono tutti i costi, poi, una volta completato il film, lo misero all'asta per il miglior offerente e se lo aggiudicò la Universal. Mi auguro che possiate guardarlo con cuore, occhi e mente sinceri,” implora il pubblico riunito nel cinema.

Il film, la pellicola più emblematica di tutte, fu distribuito tra le controversie. Vincitore di cinque Oscar, compresi quelli per miglior film e migliore regia, il film causò anche il ritiro delle nazioni del Patto di Varsavia dal Festival del cinema di Berlino, in solidarietà con 'l'eroico popolo vietnamita'. Il ritratto dei Vietnamiti, in particolare nelle famose scene della roulette russa (di cui non ci fu nessun caso documentato) fu criticato e tacciato di razzismo.

“Sforzatevi di non trovare del simbolismo nel film, perché non ce n'è. Non c'è alcun programma politico nel film,” ribadisce Cimino. “E neanche riguarda la guerra del Vietnam. Tratta di quel che accade quando una catastrofe si abbatte su di un gruppo di amici, vicini tra loro quanto una famiglia, in un paese minuscolo. Questo film parla delle persone. Semplicemente delle persone. Vorrei veramente esortarvi a prenderlo in questa maniera. E' la storia di un gruppo di amici.”

Effettivamente, mentre non si può certo negare che i personaggi vietnamiti ritratti nel film siano degli stereotipi monodimensionali e sadici, il film ebbe una tale risonanza anche per il ritratto che fà di questo gruppetto di amici. Quantunque il dialogo sia sporadico, il film parla a fiotti. “Credo che uno dei motivi per cui il film mantiene una sua vitalità, per la mancanza di una espressione migliore,” spiega, “sia il fatto che agli attori fu chiesto di impegnarsi così tanto. A tutti gli interpreti fu chiesto di andare al di là di loro stessi., di fare cose che non avevano mai fatto in precedenza.
Questi tizi, io li ho fatti dormire in quelle uniformi, senza mai fargliele levare di dosso, asciutte o bagnate, per un mese intero. Non si sono mai sbarbati, mai un bagno, come succede in guerra. Mica puoi fare una doccia calda tutte le sere. Piccoli dettagli come questi. Ognuno di loro si è lasciato inspirare da quello che facevano gli altri. Fu un'occasione rara.”

“Sono orgoglioso di affermare che non ci sono effetti speciali in questo film,” continua il regista. “Non ci sono trucchi digitali. Quando si vedono novemila profughi di notte in una Saigon in fiamme, quelle sono novemila persone nella notte. Sul serio. Quando si vedono gli attori che saltano giù da un elicottero, quelli sono gli attori. Quando li si vede galleggiare sul fiume aggrappati ad un tronco, quelli sono loro. Lo so perché io ero nel fiume con loro, a reggere un'estremità della zattera perché continuava a sollevarsi e il tronco era così pesante da minacciare di romperla. Tutto quello che ho chiesto loro, gli attori me l'hanno dato.”

In un certo senso, per Il cacciatore l'intero pare essere più grande della somma delle parti, il prodotto di una rara combinazione di talenti che collaborano. “Girare un film non riguarda la propria ispirazione, la propria emozione. Girare un film non ha a che fare con la propria soddisfazione personale., “dice Cimino tutto eccitato. “E' anche ispirare altre persone a fare quel passo in più. Io sono convinto che ognuno desidera ardentemente, ed quello che intendo dire, desidera ardentemente un momento di trascendenza dalla vita reale. Quando questo si verifica sul lavoro, è come prendere la miglior droga al mondo. Quando si finisce di girare, le riprese terminano e tutta la troupe, gli attori, i tecnici, tutti lo possono sentire, e puoi quasi vederli lievitare dal terreno!”

Ascoltare Cimino parlare è una sensazione intensamente nostalgica. Dopotutto è qui per parlare del passato, non del presente o del futuro. Il suo discorso è pieno di fantasmi che vanno e vengono. Lui, forse più di ogni altro regista, ha fatto I suoi errori in pubblico, e per ogni convinta affermazione di cosa un film debba essere, c'è sempre un accenno di dubbio. Come se filtrasse attraverso le critiche accumulate durante la sua carriera.

Alla fine però forse è lui il peggior critico di se stesso. Il cacciatore, è meritatamente entrato nel pantheon dei film più grandi di tutti i tempi. Col passare del tempo, I cancelli del cielo è stato rivalutato in chiave positiva, a dispetto dei suoi eccessi. In breve, col passare del tempo, la reputazione di Cimino è stata riabilitata, come dimostra la fervida e lunga fila di aspiranti registi/sceneggiatori che si sono riuniti qui questa sera per accogliere il grande regista newyorkese con riverenza.

All'abbassarsi delle luci, Cimino chiede di andarsene. “Quello che mi viene in mente adesso è quanto avrei potuto far meglio [con la regia del film]. Ci sono così tante cose che mi piacerebbe poter aver fatto meglio. Questa è una delle maledizioni del rivedere uno dei propri film, perché si tende a vedere solo gli errori. Si vedono i punti in cui ci è lasciati andare. Dove magari l'energia è calata. Magari eri stanco, avresti dovuto pretendere da te stesso qualcosa in più, avresti potuto fare le cose in maniera diversa. Questoa è la ragione per cui in effetti è doloroso. Altrimenti mi piacerebbe sedere a vedere il film con voi, ma non posso. Già dalla prima scena mi verrebbe da pensare 'Oh, avrei dovuto spostare la cinepresa qui' e così via.”

E così, con un sorriso 'stirato', gli occhiali scuri e il suo cappellone, Michael Cimino torna a rifugiarsi nel proprio passato.