Il Trattato Anglo-Irlandese e la Guerra Civile Irlandese

Il Trattato

È difficile capire come nel [gennaio del] 1922 tanti giovani irlandesi dotati di sensibilità assistettero senza alcuna commozione alla vista delle truppe britanniche che uscivano a passo di marcia dal grande arco del castello di Dublino mentre i nostri ragazzi, coi vestiti inzaccherati, entravano a testa alta per conquistare quella fortezza simbolo del potere imperiale.

Dermot Foley1

Subito dopo la tregua, Eamon De Valera si recò a Londra. Rifiutò i termini che gli erano stati offerti e fece ritorno a Dublino. Gli irlandesi volevano una repubblica, gli inglesi invece erano disposti a riconoscere all’Irlanda nulla di più se non lo status di Dominio all’interno dell’impero. Durante i due mesi successivi una corrispondenza epistolare tra De Valera e Lloyd George tentò di trovare un punto di incontro tra le due parti. Nessuna di esse desiderava una nuova guerra. In questo periodo De Valera lanciò la proposta di una 'associazione esterna' che, per quanto confusa, fece intuire a Lloyd che gli irlandesi erano pronti a scendere a patti sulla piena indipendenza.

Lloyd George esortò De Valera ad inviare una delegazione ad una conferenza che si sarebbe tenuta a Londra l’11 ottobre 1921. De Valera selezionò un gruppo di persone, senza includere se stesso. Tra i rappresentanti governativi, anche i repubblicani più incalliti, quali Cathal Brugha, si rifiutarono di partecipare. Con una certa riluttanza, Michael Collins accettò di guidare la delegazione, indebolita da dissidi interni e dalla decisione di De Valera, presidente della repubblica irlandese, di non capeggiarla. I poteri dei negoziatori erano ammantati di ambiguità. De Valera concesse loro il titolo di 'delegati plenipotenziari', la loro posizione ufficiale, il che implicava che essi avevano il potere di stringere accordi con gli inglesi. Ma prima di partire i delegati ricevettero l’istruzione di comunicare con la madre patria prima di prendere una qualsiasi decisione. L’11 ottobre 1921 un piccolo gruppo di irlandesi intraprese il difficile compito di negoziare la libertà dell’Irlanda e di sottrarla al dominio dell’impero britannico. Di fronte a loro sedevano uomini della statura e del calibro di Lloyd George, Winston Churchill, Austin Chamberlain e Lord Birkenhead.

Dalla discussione emersero tre temi principali: lo status dell’Irlanda e la natura del suo legame con la Gran Bretagna, se l’Irlanda dovesse essere unificata o rimanere divisa, e le richieste della sicurezza e della difesa britanniche. Il problema della difesa fu risolto relativamente in fretta, in quanto l’Inghilterra manteneva il controllo su alcuni porti irlandesi. L’attenzione si rivolse quindi alle prime due questioni. A questo punto la delegazione irlandese era determinata, se si fosse reso necessario, a interrompere i negoziati relativamente al problema dell’Ulster mentre gli inglesi li avrebbero interrotti relativamente al problema dell’impero. James Craig, primo ministro dell’Irlanda del Nord, rifiutò l’ipotesi di un’Irlanda unita, appoggiato dalla gran parte del partito conservatore inglese, alcuni esponenti del quale erano membri del gabinetto di Llyod George. Alla fine quest’ultimo convinse la delegazione irlandese ad accettare un confine, ma aggiunse che sarebbe stata istituita una Commissione sui Confini allo scopo di definire i dettagli. Lloyd George strappò a Griffith una dichiarazione scritta in cui questi accettava la Commissione sui Confini, dichiarazione che venne in seguito prodotta con grande imbarazzo di Griffith. Egli fu costretto ad onorare la propria promessa e ad appoggiare l’idea della Commissione, il che implicava il fatto che la delegazione irlandese non avrebbe potuto sciogliersi a causa della questione dell’Irlanda del Nord. Lloyd George sottolineò con forza che, col tempo, la divisione sarebbe diventata a livello politico ed economico insostenibile per l’Irlanda del Nord. Alla fine la delegazione accettò l’esistenza della Commissione sui Confini e l’attenzione si concentrò sull’ultimo problema rimasto: i rapporti tra Irlanda e impero britannico.

Gli inglesi rifiutarono ripetutamente la proposta di 'associazione esterna' fatta da De Valera, e Lloyd George cominciò a discutere separatamente con Collins e Arthur Griffith un eventuale compromesso. Entrambi gli uomini sapevano che per gli inglesi solamente lo status di Dominio era accettabile e Lloyd George tentò di arrivare ad una soluzione. Il 30 Novembre fece pervenire alla delegazione ciò che descrisse come la versione definitiva di un negoziato, documento che la delegazione portò con sé a Dublino. Griffith, e in misura minore Collins, erano dell’idea che gli inglesi non avrebbero concesso di più mentre altri delegati ritenevano che si sarebbero potute ottenere maggiori concessioni. De Valera suggerì che, con opportuni emendamenti alla Costituzione, sarebbe ancora stato possibile un accordo ma cosa intendesse con questo non era del tutto chiaro. O l’Irlanda era pronta al giuramento di fedeltà alla corona britannica oppure no, e tutte le parole del mondo non sarebbero servite a nasconderlo. Non vi era alcun dubbio su come i delegati avrebbero reagito se Lloyd George avesse preteso da loro di accettare o rifiutare il Trattato senza consultarsi coi colleghi di Dublino o su che cosa fare se gli inglesi avessero minacciato di riprendere le ostilità nel caso in cui il Trattato non fosse stato firmato.

Una volta tornati a Londra De Valera impose ai delegati di adoperarsi ancora una volta per l’associazione esterna. Consapevoli che sarebbe stato un fallimento essi obbedirono senza troppa convinzione (Collins si rifiutò addirittura di presentarsi all’incontro) e l’idea di associazione esterna fu ancora una volta respinta dagli inglesi. Il 5 dicembre i negoziati volsero al termine. Griffith era pronto a firmare ma sollevò di nuovo la questione dell’Irlanda del Nord, poiché voleva ottenere da Craig un accordo sulla problema dell’unità. Lloyd George lo batté sul tempo producendo l’approvazione della Commissione sui Confini firmata da Griffith, il quale accettò di firmare senza riproporre il problema dell’Irlanda del Nord. Winston Churchill descrisse con queste parole la reazione di Michael Collins quando realizzò che Lloyd George aveva battuto Griffith in astuzia:

“Michael Collins si alzò con l’aria di chi stava per sparare a qualcuno, preferibilmente se stesso. In tutta la mia vita non avevo mai visto tanta passione e tanta sofferenza represse.”2

Anche Collins accettò di firmare, come il resto della delegazione, alcuni di buon grado, altri con riluttanza. L’offerta finale prevedeva per l’Irlanda lo status di Dominio. Il paese sarebbe stato conosciuto come il Libero Stato d’Irlanda e il re sarebbe stato rappresentato dal Governatore Generale. Tutti i membri del Dàil [il Parlamento irlandese] dovettero giurare fedeltà alla corona inglese. Perché Collins aveva accettato le condizioni del negoziato? Sapeva che l’IRA non era in grado di sfidare gli inglesi sul piano militare. Si erano limitati ad impedire che gli inglesi vincessero la guerra. Ma Collins sapeva che, se fosse scoppiata un’altra guerra, la scarsità cronica dell’IRA in fatto di uomini e di munizioni e la possente macchina bellica degli inglesi si sarebbero rivelate ancora una volta a scapito dell'IRA stessa. Se non avesse raccolto l'offerta che stava sul tavolo dei negoziati nel dicembre 1921, si sarebbe mai presentata un'occasione migliore per gli irlandesi? La sua natura pragmatica lo convinse che sarebbe stato meglio firmare.

Verso la guerra civile

Nella scorsa guerra contro gli inglesi siamo stati costretti a mettere nelle mani dei nostri soldati poteri più o meno illimitati.

Desmond FitzGerald3

La verità è che i nostri politici hanno fatto finta di governare una repubblica mentre i nostri soldati non sono morti per finta.

Richard Mulcahy, Capo di Stato Maggiore dell'IRA4

Il Trattato divise gli irlandesi. I suoi sostenitori lo consideravano un grosso risultato dopo la guerra anglo-irlandese, una possibilità di ottenere la pace in un paese libero, e, in un futuro, la possibilità di costituire una repubblica. Per i suoi detrattori esso era un tradimento che distruggeva il sogno repubblicano. Il gabinetto del Dàil era diviso a metà e quindi incapace di portare avanti una linea d’azione nei confronti del negoziato. Votò quindi a favore del Trattato, 64 a 57. Spesso durante i dibattiti in parlamento Griffith e Collins sostennero che il compromesso con il governo inglese era conseguenza della decisione di negoziare e che l’idea di una repubblica non era mai stata in programma. Una nuova guerra non era giustificabile per la differenza tra il negoziato e 'l’associazione esterna' e in ogni caso il governo inglese non avrebbe mai accettato l’associazione esterna, né nel presente né in futuro. Collins definì pubblicamente il Trattato come un trampolino per ottenere un’ulteriore libertà per l’Irlanda; nei circoli privati dell’IRB [Irish Republican Brotherhood, movimento indipendentista feniano risalente al secolo XIX] lo presentò invece come un mezzo per costituire un esercito irlandese che avrebbe alla fine costretto gli inglesi a cedere l’Irlanda del Nord5. Con estrema abilità, mentre approvava le condizioni del negoziato in veste di ministro governativo, e in seguito capeggiava l’esercito del Libero Stato, Collins fornì armi, in gran segreto, ad alcune unità dell’IRA del Nord le quali attaccarono alcune caserme di polizia, in aperta violazione del negoziato. Il 16 marzo del 1922 un gruppo di militanti dell’IRA del Nord dell’Irlanda furono catturati e con essi anche le armi fornite loro da Collins e provenienti dal governo inglese (il quale era naturalmente all’oscuro che le armi sarebbero servite a quello scopo)6. L’IRA era costretta ad agire nel nord del paese per proteggere le minoranze cattoliche che in certe zone venivano cacciate dalle proprie case da bande di lealisti, i quali temevano una potenziale riunificazione del paese.

Nelle campagne, benché divise, la maggioranza era favorevole al Trattato. La gente era stanca della guerra e voleva tornare ad una vita normale. L’entusiasmo per il negoziato era maggiore nelle aree rurali e imprenditoriali più ricche che si trovavano a est del paese. Vi era inoltre il sospetto che a Dublino stesse per essere istituito un governo centrale, inglese o irlandese che fosse, da parte di certi esponenti del Munster 7. L’IRA si divise tra favorevoli e contrari al negoziato; gli esponenti del GHQ [General Headquarters] erano pro negoziato (con alcune importanti eccezioni) mentre i comandi provinciali era contro. Gli uomini dell’IRA non avevano un’alta opinione di Sinn Féin e dei politici e, se Michael Collins non avesse firmato e appoggiato il negoziato, molto probabilmente neanche l’IRA l’avrebbe approvato. Nonostante l’influenza di Collins la maggior parte dell’esercito rimaneva contraria al Trattato. Richard Mulcahy, il nuovo ministro della Difesa che era succeduto a Cathal Brugha, anch’egli contrario, promise che l’IRA sarebbe rimasta fedele al governo. Ma l’esercito non aveva mai avuto potere sulle autorità civili e di sicuro non si sentiva più in dovere di obbedire ad un governo che aveva giurato fedeltà alla corona inglese. Lo storico Tom Garvin descrive così le differenze tra le due diverse facce di Sinn Féin: gli esponenti di spicco a favore del negoziato quali Collins, Cosgrave e O’Higgins tendevano a dare il meglio di sé nel “dirigere le cose” (ossia nell’amministrazione del paese) mentre quelli contrari eccellevano nell’ideale romantico di repubblica o nelle azioni militari su piccola scala8. Col tempo, l’amministrazione del Libero Stato d’Irlanda avrebbe sconfitto quell’ideale romantico al quale gli anti-Trattato erano così tenacemente attaccati.

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