Il Poeta della Prosa – Intervista a Jim Crace

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Jim Crace è al tempo stesso compiaciuto e divertito dal fatto di esser divenuto argomento di uno studio accademico. “Sono lusingato. Preferirei ci fossero dei libri accademici su di me piuttosto che no – dice, in tono sommesso prima di procedere alla descrizione di una delle analisi accademiche più particolari del suo lavoro. – Un matematico giapponese e uno studioso di linguistica di Cambridge (Hideaki Aoyama & John Constable) volevano individuare la differenza tra prosa e poesia in termini matematici ed hanno sviluppato una formula a tal fine. Corrisponde ad un grafico che rappresenta attacchi e cadenze, e mostra un andamento caratteristico. L’una è rappresentata da colline, e l’altra da pianure. Le gobbe rappresentano naturalmente la poesia, mentre i plateau rappresentano i ritmi piatti della prosa. Hanno proceduto alla sperimentazione di questa loro teoria, applicandola ad un pezzo in prosa pretendendo che fosse poesia, i Quattro quartetti di T.S. Eliot, e confrontandolo con una poesia pretendendo che fosse prosa, e cioè Il diavolo nel deserto. Ed ecco che Quattro quartetti risulta essere un pezzo in prosa e Il diavolo nel deserto una poesia in ogni senso. Ho discusso con uno degli autori della ricerca, che venne ad una delle mie letture in pubblico, e gli chiesi ‘Ma quali sarebbero stati i risultati se aveste applicato la teoria al linguaggio parlato?’ e lui rispose ‘Lei non ci crederà ma pur applicando il test ad ogni sorta di linguaggio parlato, dai discorsi ufficiali alle chiacchiere da bar, esso risulta sempre ritmato come una poesia’. Quindi, scova l’intruso, l’unica situazione in cui si può trovare un linguaggio che non possegga profili e contorni poetici è nel romanzo convenzionale in prosa. Perciò i miei libri, che sono spesso bollati come insoliti, posso, ironicamente, affermare che siano fermamente parte della corrente principale”.

Crace, l’autore di acclamati romanzi come Il diavolo nel deserto e Una storia naturale dell’amore, è ben consapevole che il ritmo dei suoi libri è uno dei fattori che li caratterizzano e che non tutti i critici apprezzano. “Quella è la mia voce naturale ed è il tipo di particolare che fà infuriare i critici cui non piace il mio lavoro. Adam Mars-Jones sostiene che la lettura di un passaggio di uno dei miei libri è un invito all’emicrania, il che è molto divertente e posso anche riconoscere che sia vero. E ci sono tante cose nei miei libri che possono far infuriare. Ma si tratta della mia voce.”

Mentre potrà essere causa di arrabbiature per critici tipo Mars-Jones, il distintivo stile di Jim Crace è in grado sia di ammaliare il lettore che di provocare delle emicranie. La combinazione di un linguaggio meravigliosamente ritmato con pretesti narrativi incredibilmente descritti nei particolari differenzia Crace dalla maggior parte degli scrittori britannici di oggi. “Non cerco di scrivere libri realistici, – spiega Crace, – tento di scrivere libri in una bella prosa, come espressa nella tradizione orale, in quella tradizione orale da cantastorie. Non si tratta di idioma, non si tratta di assomigliare a Ben Elton. La vera tradizione orale dei cantastorie ha a che fare con il ritmo e il raggiungere delle note di percussione, e con il cambiare la connotazione della prosa, ed è questo lo stile di scrittura che utilizzo. Non potrei ineffetti fare altrimenti, in quanto ambiento tutti i miei libri in posti inventati, se mi inventassi anche un idioma, il tutto si rivelerebbe per la sua falsità. Per esempio nel libro che ho ambientato alla fine dell’età della pietra, The Gift of Stones [N.d.T.: Il dono delle pietre]: non sappiamo come si parlavano le persone al termine dell’era della pietra. Io le ho fatte parlare con un linguaggio del XX secolo che magari appare falso, ma al tempo stesso se avessi dato loro un linguaggio di ugghs e arghs, anche questo sarebbe risultato falso, e quindi la narrazione del cantastorie si appropria di questo inglese universale, quasi come se [il romanzo] fosse stato tradotto da un’altra lingua.”

Il prossimo libro di Crace, The Pest House [N.d.T.: La casa della peste], che dovrebbe essere pubblicato all’inizio del 2006, tratta di un’America del futuro: “E’ ancora una volta una nuova versione di narrative precedenti, – spiega l’autore. – E’ un tentativo di raccontare di nuovo e di correggere la fantascienza. La fantascienza, e qui generalizzo, tende ad interpretare il futuro in termini di espansione della società, della tecnologia e delle possibilità del genere umano. Questo però non ci racconta nulla del nostro rapporto con la tecnologia, è uno status quo inflazionato. Quello che mi interessa è scoprire la natura della nostra esistenza nel XXI secolo tramite la sua eliminazione. Ovvero eliminando tutte quelle cose che definiscono il XXI secolo: scienza, tecnologia, la perdita dei valori, … Quindi quale sarebbe un posto migliore dell’America per ambientare tutto ciò? Perché se si ha l’intenzione di far tornare l’umanità, o perlomeno l’umanità occidentale, ad una esistenza di tipo medievale, che scherzetto è quello di ambientarlo in America, che non ha mai avuto un medioevo? Mi trovavo in Florida poco tempo fà e in una delle città che ho visitato c’era un edificio con una targa che diceva ‘1872, palazzo storico’! Certamente c’è un passato medievale nel senso delle persone indigene all’America, ma in un certo senso quella storia è stata estirpata, – aggiunge, – quindi volevo ambientare il libro in quella fornace di progresso economico e tecnologico che è l’America, e ricondurla ad un passato medievale che non ha mai avuto, darle un futuro medievale. [Volevo] esaminare qualcosa di noi stessi, vedere che cosa è diventato il genere umano, ora che non siamo più accoccolati attorno ai falò con le facce accaldate e le schiene infreddolite”.

La reinvenzione è la chiave di lettura della maggiorparte, se non di tutti, i romanzi di Crace. “Tutti i miei libri, a dire la verità, sono una nuova versione di vecchi generi, – conviene. – Six [N.d.T.: Sei], il mio ultimo libro, riscrive la narrativa delle relazioni umane falsata da Hollywood, dove si tende a confondere bellezza, virtù e fortuna. E così in Six abbiamo un anti-eroe, che non è un granchè a letto, però esamina la sua vita sessuale, la sua vita amorosa, e cerca di trarne una visione ottimistica [N.d.T.: Six è la storia di un famoso quanto imbranato attore che colleziona un numero esorbitante di successi amorosi e di progenie]”.

Crace durante l’intervista è allegro, cordiale, spiritoso e assolutamente aperto, ma diventa scettico ad ogni abbozzo di domanda personale. E’ un fermo sostenitore della supremazia dell’immaginazione, e rifiuta qualsiasi accenno personale nelle sue opere, e di conseguenza tende a minimizzare le proprie opinioni. Per esempio, gli chiedo se è un fanatico musicale, domandandomi se ciò abbia alcun ruolo nella ritmicità della sua prosa, e lui mi risponde che “non si dovrebbe dare tanta rilevanza a quello che mi piace o a quello che sono, perché non si tratta di questo [a chi interessasse, è un fanatico musicale, e stava ascoltando Paolo Conte e Battiato]. La narrativa è un qualcosa che ci viene intuitivamente, che fà parte della nostra formazione. Il genere umano è un anim
ale narrante, e la narrazione non gioca una piccola parte nella nostra vita, passiamo una grossa fetta della nostra giornata a pensare del nostro futuro e a rivivere il passato, a ri-raccontarlo. La narrazione è importante in quanto ci aiuta a trovare lavoro, a trovare una fidanzata, a fare amicizia in un bar, e ci conferisce un enorme vantaggio per ragioni di tipo darwinistico, ci permette di sviluppare il nostro futuro per fare scelte migliori. Si possono cercare argomenti e motivazioni nella mia vita per spiegare il mio modo di scrivere, ma la gran parte delle spiegazioni può essere individuata in questa natura umana profondamente stratificata in cui la narrativa gioca un ruolo tanto imprtante. Sono spesso disorientato dal mio modo di scrivere e dalla ragione per cui risulta così ritmico, e quando parlo con i giornalisti cerco di darne una speigazione coerente, ma la verità è che non posseggo tale spiegazione. Si tratta di un qualcosa che esiste e basta. Allo stesso modo non chiederesti a un musicista di parlarti del suo senso del ritmo: ti risponderebbe che è un qualcosa di intuitivo, qualche che scorre loro nelle vene. Ma quando gli scrittori dicono qualcosa di simile, poiché il linguaggio e le parole sembrano forse molto più concreti delle note musicali, si tende a non credergli. Ma credimi: è questa la spiegazione”.

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