Al limite del surreale: L'amore ai tempi della Bossi-Fini, un – ahimè – realissimo spaccato di vita nella 'nuova' Italia. Intervista all'autrice, Cristina Artoni.

L'amore ai tempi della Bossi-Fini della brava Cristina Artoni, attraverso sette storie di immigrati, racconta le esperienze in Italia di altrettanti 'irregolari', persone che, volenti o nolenti, si sono trovate imbrigliate nelle maglie della complessa macchina (dis)organizzativa della burocrazia italiana. Il titolo del libello-inchiesta edito da Bruno Mondadori è abbastanza ovvio, ma Cristina ci tiene a spiegarmelo: “[è] ripreso da un libro di Garcia Marques [L'amore ai tempi del colera], perché lui è un maestro nel raccontare il surreale e qui ci troviamo in questa condizione molto spesso per chi, diciamo, è un 'non italiano' – mi dà fastidio anche usare il termine straniero a volte…”.

I personaggi che si raccontano a Cristina vengono dal Togo, dal Brasile, Cuba, Ucraina, Canada, e si sono ritrovati in Italia non solo per amore: alcuni per lavoro, altri sì a raggiungere un amante, qualcuno è addirittura nato qui. Le domando su che base ha scelto la casistica illustrata nel libro e lei mi spiega che “dovevano essere dei casi esemplificativi di quello che è il panorama, il risultato di questa legge Bossi-Fini. Quindi, insieme ad un avvocato, abbiamo scelto i casi che potessero essere indicativi di quanto è assurda questa legge che costringe veramente le persone a finire in storie al limite del surreale”.

Mi soffermo volutamente sulla vicenda di Amor, il promesso sposo marocchino di una donna italiana originaria del bresciano, che ha trovato la morte nel baule della Golf della ragazza nell'agosto del 2004, mentre lei cercava di introdurlo clandestinamente nel nostro paese. In questo caso particolare non è forse eccessivo addossare la colpa della tragedia sulle regole di entrata in Italia? I due stavano seguendo le procedure e avevano avviato le pratiche per sposarsi (il che garantisce facilitazioni dal punto di vista legale e burocratico), quindi il ragazzo sarebbe eventualmente entrato in Italia in qualche modo. Non si è trattato, quindi, di una morte che, con tutta la compassione del caso e il rispetto per le scelte altrui, era facilmente evitabile? Cristina non è d'accordo: “Sì, poteva essere evitata, però da un certo punto di vista i due ragazzi avevano aspettato già un anno! Per chi si sia trovato in una situazione di questo tipo – ma forse nessuno di noi si è mai trovato in questa condizione – è difficile capirlo, però credo che l'urgenza dell'amore, per me è anche abbastanza imbarazzante spiegarlo, però l'urgenza c'è … Quando si è innamorati, si ha voglia comunque di percorrere percorsi comuni insieme, quindi credo che, visto che le prerogative per una vita tranquilla e non da 'clandestini in Italia', non illegale, era possibile, è strano tutto questo tempo perso. Credo che anche questo sia uno dei punti tragici della legge Bossi-Fini: dare così tanta discrezionalità alle ambasciate di scegliere sulla vita delle persone. Questa è una delle storie che mi ha commosso di più perché credo che morire in questa maniera, morire in assoluto in una situazione così, quando c'erano tutte le possibilità per essere felici, deve essere ancora più tragico”, mi dice con il tono emozionato di chi ha conosciuto una grande passione.

In Italia si stima ci siano, tra regolari e irregolari, ben più di centomila cinesi (104'952 permessi di soggiorno rilasciati, secondo i dati Istat aggiornati al 1° gennaio 2004, il che corrisponde al quinto gruppo nazionale), eppure neanche uno dei casi esaminati dall'Artoni riguarda questa folta rappresentanza. “Avevo pensato di coprire un po' tutte le aree geografiche, poi però è stato difficile e non riuscivo ad avere dei contatti sicuri con la comunità cinese, che comunque, come tutti sanno, è una delle comunità più chiuse in tutto il mondo e quindi ho preferito – avevo anche l'urgenza di chiudere il libro – lasciare perdere e andare su delle storie esemplificative, ma sicure” è la risposta della giornalista, che dimostra come l'autrice, evidentemente, abbia voluto fare un lavoro approfondito e circonstanziato. Rivela anche di essere ancora in contatto con alcuni dei protagonisti e di continuare a seguire le loro vicissitudini. Mi racconta per esempio che, dopo diversi anni, un numero imprecisato di tentativi di ricongiungimento familiare falliti, una cifra consistente spesa in mazzette e una buona dose di sfortuna, la moglie di Korima, togolese arrivato nel nostro paese nel 2002, è finalmente riuscita ad entrare in Italia regolarmente e i due hanno recentemente avuto una bella bambina. “Con tutti quanti mantengo un rapporto ormai proprio di amicizia, anche con l'avvocato che mi ha raccontato la storia più tragica, l'ultima, quella del caso di Amor. […] Le situazioni più difficili, quelle legate all'illegalità sono ancora queste, nel senso che sia per Luna [una ragazza cubana che ha seguito l'innamorato italiano conosciuto a Cuba e che è diventata, suo malgrado, apolide, non essendo riuscita ad ottenere al cittadinanza italiana e avendo perso nel frattempo quella cubana] che per il ragazzo brasiliano, Beto [che si è fatto 'assumere' come colf dal padre del fidanzato pur di garantirsi l'agognato permesso di soggiorno], la situazione è rimasta uguale. Luna è clandestina, Helena, la ragazza egiziana è rimasta clandestina”.

Mi domando quante delle difficoltà che gli immigrati devono affrontare siano legate a xenofobia, razzismo e quant'altro, e quanto invece al nostro sistema organizzativo, così burocratico e clientelare anche per noi cittadini italiani. Anche a me è successo qualche anno fa di dover accompagnare un amico (tra l'altro comunitario, per il quale, si presume, le procedure di entrata e registrazione debbano essere pressoché immediate) alla Questura di Bologna per richiedere informazioni sulla modulistica da presentare per la richiesta del tristemente famoso 'permesso di soggiorno'. Ai tempi c'era un ufficio appostito per le informazioni, oggi neanche più quello: per il semplice ritiro del modulo di domanda di rinnovo del permesso di soggiorni si è tutti soggetti, comunitari ed extra-comunitari, alla fila disumana per prendere un numerino che ti darà, dopo ore di attesa sotto i portici, il diritto di accesso allo sportello dove prelevare il sudato formulario.

Tornando al mio amico e al suo arrivo a Bologna, pur se consapevole che questo potrebbe essere un caso isolato e senza alcuna intenzione di generalizzare, non dimenticherò mai la maleducazione e l'arroganza dell'impiegata che ci spiegava come fare questa benedetta domanda di soggiorno. Ad un certo punto, alla mia richiesta di delucidazioni su quante e quali fotocopie era necessario allegare al formulario, mi ha trafitto con un “ma lei è italiana, no? Dovrebbe capire la nostra lingua”. Mi sono immaginata quanto possa essere difficile e terrificante per qualcuno appena arrivato qui avere a che fare con tale trattamento. Le risposi che saremmo tornati in un altro momento, possibilmente quando le fosse passata la sindrome pre-mestruale e lei divenne improvvisamente molto più socievole e disponibile. Ma chi non parla la nostra lingua, chi si sente un estraneo braccato, chi magari è arrivato clandestinamente, pagando qualche scafista senza scrupoli e senza alcuna conoscenza delle nostre leggi o delle nostre idiosincrasie, quelle persone che tutele hanno di essere trattati 'umanamente'? Cristina non ha dubbi e alla domanda “siamo razzisti noi italiani?”, risponde con un secco
“sì, siamo molto razzisti. Siamo razzisti e chiusi, direi. Non siamo abituati ad accogliere nuove culture e questo è un processo molto lungo. Io ho vissuto un periodo in Francia ed era uno degli aspetti che mi piacevano di più, anche se anche lì, come avete visto con l'esplosione delle banlieues le contraddizioni ci sono, però l'aspetto multiculturale è comunque presente ad esempio in una grande città come Parigi. Noi siamo razzisti e tendiamo a vedere, ancora una volta, nello straniero un nemico”.

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